
Le ragioni dello sciopero generale contro il disegno di legge di bilancio 2026 indetto dalla Cgil per il 12 dicembre affondano le radici nella nostra Costituzione e nei suoi articoli largamente inattuati. Una manovra che non tutela le persone con reddito più basso e che, secondo Istat, Banca d’Italia e Ufficio parlamentare di bilancio, porterà benefici limitati soprattutto alle famiglie con redditi da 28mila a 50mila euro, con effetti che verranno neutralizzati solo oltre i 200mila euro, mentre nulla è previsto per la crescente quota di popolazione in evidenti difficoltà economiche o a rischio povertà, né per garantire un salario minimo legale.
Eppure la nostra Carta, all’art.1, afferma che l’Italia «è una Repubblica democratica fondata sul lavoro»; all’art. 2, che la Repubblica «richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale»; all’art. 3, che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana»; all’art. 4, che «la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto».
Ma la Costituzione non si limita all’enunciazione di principi, e all’art. 36 specifica che «il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa», per concludere, all’art. 38, che «ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale». Non esattamente una priorità, per un governo che conta fra i suoi primi provvedimenti di legislatura l’abolizione del reddito di cittadinanza, mentre prevede un aumento progressivo delle spese militari di circa 23 miliardi nei prossimi tre anni.
Nell’aderire a uno sciopero generale inteso anche come difesa dei principi del dettato costituzionale, Libertà e Giustizia esprime la propria repulsa davanti alla sistematica politica di irrisione e delegittimazione attuata da esponenti dell’esecutivo nei confronti degli scioperi sgraditi, di chi li proclama e di chi vi aderisce. Lo sciopero è un diritto costituzionale fondamentale, riconosciuto come strumento di tutela collettiva dei lavoratori e dei sindacati, parte integrante dell’ordinamento democratico. Dileggiandolo, il governo si mostra incapace del rispetto reciproco tra le parti che fonda la democrazia e agisce un comportamento istituzionalmente scorretto checontraddice lo spirito della Costituzione.


Luigi Manconi