L’Ufficio del Massimario presso la Corte di Cassazione ha appena pubblicato la Relazione sul cosiddetto Decreto sicurezza, che presenta estremo interesse per l’ampiezza e la profondità dell’analisi dedicata alla normativa penale di recente introdotta, evidenziandone i numerosi profili problematici. In sostanza, in ben 129 pagine la Corte mette in evidenza i rischi di incostituzionalità della legge 80 del 9 giugno.
Come è noto, il testo della nuova normativa introduce una serie di nuove fattispecie di reato nonché alcune nuove aggravanti, in una logica definita “panpenalistica” in quanto riconduce sotto l’ombrello del diritto e della sanzione penale comportamenti di limitato pericolo sociale o addirittura espressione di diritti costituzionalmente garantiti. La Relazione della Corte di Cassazione passa in rassegna le numerose valutazioni critiche che sono state formulate da penalisti e costituzionalisti, oltre che da organismi internazionali quali l’OSCE e l’Alto Commissario ai diritti umani dell’ONU; critiche che si appuntano anzitutto sulla decisione del governo di optare per lo strumento del decreto legge, in assenza dei necessari presupposti di straordinarietà, necessità e urgenza, con conseguente violazione dell’art.77 della Costituzione. È questo infatti il primo dubbio sollevato nella Relazione:
Poiché – per unanime giudizio dei giuristi finora espressisi – nessun fatto nuovo configurabile come «casi straordinari di necessità e di urgenza» ai sensi dell’art. 77, comma secondo, Cost. è occorso tra la discussione alle Camere del d.d.l. sicurezza e la scelta trasformarlo in un decretolegge dal medesimo contenuto (con l’intento “di evitare ulteriori dilazioni in Senato ove il testo avrebbe potuto essere approvato con modifiche”), da più parti si sono manifestate severe perplessità anzitutto sulla (in)sussistenza dei presupposti giustificativi per il ricorso alla decretazione d’urgenza, tanto più che neppure il governo proponente si era mai avvalso della facoltà, prevista dall’art. 72 Cost. e dai regolamenti parlamentari, di chiedere l’esame con procedura d’urgenza di quel disegno di legge . D’altra parte, la prassi parlamentare annovera due soli precedenti di trasposizione dei contenuti di un progetto di legge in discussione in Parlamento in un decreto-legge, a suo tempo in effetti censurati dalla dottrina costituzionalistica e, in ogni caso, nessuno dei due riguardava la materia penale. L’Appello per una sicurezza democratica redatto il 27 aprile 2025, per iniziativa di Articolo21, da 257 gius-pubblicisti di tutte le Università italiane20 ha denunciato “una serie di gravissimi profili di incostituzionalità, il primo dei quali consiste nel vero e proprio vulnus causato alla funzione legislativa delle Camere”, dato che l’iter legislativo del d.d.l. sicurezza, ai sensi dell’art. 72 Cost., “era ormai prossimo alla conclusione, quando è intervenuto il plateale colpo di mano con cui il governo si è appropriato del testo e di un compito che, secondo l’art. 77 Cost., può svolgere solo in casi straordinari di necessità e di urgenza”.
Quanto al merito, la Relazione dà conto delle opinioni critiche che hanno sottolineato la violazione dei principi costituzionali vigenti in materia penale, tra cui in particolare i principi di sussidiarietà, determinatezza, proporzionalità e ragionevolezza. Lampante appare in alcune disposizioni la violazione dei principi di libertà di manifestazione del pensiero e del dissenso nonchè del diritto di riunione e di sciopero.
La Relazione opera quindi un’analisi molto approfondita di ognuna delle nuove disposizioni, alla luce della giurisprudenza costituzionale e penale e della ricca mole di commenti da parte di studiosi della materia. Nel complesso, risulta evidente, da parte del governo, l’utilizzo della legislazione penale a fini “dimostrativi” e di propaganda, per intestarsi una vittoria securitaria, con quella che appare in effetti una congerie disomogenea e irragionevole di norme di dubbia costituzionalità.
