L’Osservatorio Autoritarismo è un progetto promosso da Libertà e Giustizia – associazione di cultura politica che annovera tra i suoi fondatori figure come Umberto Eco, Claudio Magris, Guido Rossi, Lorenza Carlassare – e dalla casa editrice Castelvecchi. Nel marzo 2025, insieme, abbiamo proposto a studiosi, intellettuali, docenti di numerose università italiane e straniere, non di firmare un appello ma di condividere un chiaro assunto: nominare l’esistenza di un progetto autoritario, un processo di erosione della democrazia e dello Stato di diritto in atto nel nostro paese – seppure visto nel contesto europeo e internazionale – e assumere un impegno a promuovere spazi di analisi, dialogo e confronto con la cittadinanza. Le adesioni sono giunte in misura stupefacente per numero e per qualità, dall’Italia e dall’estero, a mostrare una consapevolezza della gravità del momento che stiamo attraversando.
Tra i firmatari si contano scienziati come il Nobel per la Fisica Giorgio Parisi; filosofi come Michela Marzano, Maurizio Ferraris, Adriana Cavarero, Umberto Curi; storici come Anna Foa e Adriano Prosperi; giuristi e magistrati come Armando Spataro e Gustavo Zagrebelsky; teologi come Vito Mancuso e Giuseppe Buffon; linguisti come Michele Cortelazzo. E, tra gli stranieri, Jean-Claude Monod, Nancy Frazer, Judith Butler, James Galbraith, Michael Hardt, solo per citare alcuni nomi.
Insieme, ci siamo impegnati a creare una costellazione di luoghi di incontro e presa di parola – che si sostanziano in giornate di studio che si stanno moltiplicando in numerose università italiane – e a tenere una raccolta documentale e testimoniale destinata a trasformarsi in archivio multimediale sui siti di Libertà e Giustiza e di Castelvecchi (Il diario di Winston): una messa agli atti storiografica del tempo che stiamo vivendo, che ci interpella e che ci affida una responsabilità davanti alle manifestazioni degenerative dell’autorità legittima.
Stiamo, insomma, costruendo una rete che, nelle principali sedi universitarie – e in dialogo con la società civile – si propone di custodire e diffondere i fondamenti della cultura democratica in un paese che, secondo l’ultimo rapporto di “Liberties” (Civil Liberties Union For Europe) si colloca tra i cinque paesi europei «demolitori dello Stato di diritto».
Una rete di “isole benedettine”, mi piace dire, dove trascrivere e tramandare saperi e culture che oggi sono a rischio di essere travolti.
Non un’iniziativa accademica, e nemmeno militante – per quello ci sono già sindacati e associazioni, con i quali saremo in dialogo – ma uno spazio aperto di riflessione, testimonianza, acquisizione di saperi, progettualità, denuncia politica, dialogo con le istituzioni europee e internazionali che vigilano sul rispetto dello Stato di diritto.
Quella del 16 giugno all’Università Statale di Milano, dedicata all’analisi del Decreto Sicurezza, è la prima di tre giornate di studio già organizzate. Seguiranno l’Istituto Universitario Europeo di Firenze, il 12 settembre 2025, con una giornata su «Democrazia e autoritarismo al tempo dell’intelligenza artificiale», e l’Università La Sapienza di Roma, con una giornata dedicata a «La crisi della democrazia rappresentativa, i fondamenti normativi della post-democrazia e la manipolazione della memoria storica nelle forme di populismo autoritario». Ma già sono in preparazione altre giornate: a Brescia, Padova, Ravenna e di nuovo Milano, dove Massimo Recalcati e Maurizio Balsamo, firmatari dell’Osservatorio, organizzeranno a dicembre 2025 un incontro sul tema della “Paranoia del potere e dei leader autoritari”.
La speranza è che questi incontri si diffondano rapidamente in altre università italiane, da nord a sud, costruendo una rete diffusa e interrelata di saperi sul restringimento delle libertà di opinione e manifestazione, sulla criminalizzazione del conflitto, sul corrompimento autoritario dei linguaggi, sull’attacco ai diritti – e allo spazio – delle donne, e sui molti sguardi necessari a promuovere una costellazione di impegno e conoscenza, a salvaguardia della democrazia parlamentare e costituzionale, del bilanciamento e della separazione dei poteri, dell’autonomia della Magistratura
Perché le università? Vediamo come la libertà accademica – e il sapere tout court – siano sotto attacco in molte parti del mondo. Negli Stati Uniti, gli attacchi di Trump alle università e al libero inegnamento sono all’ordine del giorno, con il divieto di iscrizione per gli studenti stranieri, l’intimidazione dei docenti, la pretesa di de-finanziare e silenziare la ricerca scientifica, di portare nelle scuole uno sguardo regressivo, ad esempio con l’insegnamento del creazinismo.
In Italia la situazione non è paragonabile a quella degli Stati Uniti, tuttavia nel DDL “sicurezza”, prima di essere trasformato nel decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48, convertito in legge il 9 giugno scorso, si leggeva, all’art. 10, approvato alla Camera: «Le pubbliche amministrazioni sono tenute a presentare al DIS, all’AISE e all’AISI – i servizi – collaborazione e assistenza necessarie per la tutela della sicurezza nazionale». Inoltre: «I servizi segreti possono stipulare convenzioni con le università e con gli enti di ricerca. Le convenzioni possono prevedere la comunicazione di informazioni anche in deroga alle normative di settore in materia di riservatezza».
Secondo la ratio del DDL, l’università avrebbe dovuto denunciare ai servizi un docente che avesse insegnato tesi ritenute pericolose o sovversive, o, ancora, uno studente o un docente che avessero partecipato a un’associazione o avessero promosso attività politiche.
Si tratta di un campanello d’allarme che è impossibile ignorare.
Trasformare i rettori in informatori, è un attacco diretto all’autonomia dell’università, alla libertà di insegnamento, alla cultura, ai saperi in quanto tali.
Ma c’è un ultimo motivo per cui crediamo necessario che l’Osservatorio Autoritarismo si sviluppi a partire dalle università: nel discredito che da tempo si cerca di gettare sulla cultura, sul pensiero e sulla riflessività; nell’uniformità dei media; nella progressiva perdita di spazi di incontro; nell’afasia dei partiti, ormai poco capaci di progetto e analisi, le università possono tornare ad avere una funzione di lievito per la società; una funzione che va preservata e protetta da parte dei cittadini. Luoghi aperti, attraversati dalla società civile, credibili in uno scenario che impone di unire competenze, saperi e capacità di reazione.