Urbanistica Milano: poca politica e nessun coinvolgimento della cittadinanza

14 Febbraio 2025

Veronica Dini Avvocata ambientale

Milano, Castello Sforzesco

Se passasse il cosiddetto “Salva Milano”, ora al Senato, per il capoluogo lombardo non sarebbe un via libera e ci sarebbero diversi effetti su tutti i comuni italiani, in primis una diminuzione degli introiti connessi all’edilizia. Meglio guardare ad altre esperienze europee basate su partecipazione e pianificazione territoriale dettagliata.

Il Disegno di Legge d’iniziativa dei deputati Mattia, Zinzi, Cortelazzo e Semenzato, approvato dalla Camera dei deputati il 21 novembre 2024, recante Disposizioni di interpretazione autentica in materia urbanistica ed edilizia, è attualmente in attesa di discussione al Senato. 

A differenza di quella precedente, la proposta si configura come un’interpretazione autentica dell’art. 41 quinquies, comma 1, L. urbanistica n° 1150/1942, del numero 2) dell’art. 8 del decreto del Ministro per i lavori pubblici n. 1444 del 2/4/1968 e della lettera d) del comma 1 dell’art. 3 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al DPR 6/6/2001 n. 380. 

Ebbene, innanzitutto, la semplice lettura del testo proposto, evidenzia che non si tratta di una mera interpretazione delle leggi fondamentali in materia edilizia e urbanistica, ma di una disciplina non solo difforme ma addirittura opposta a quella attualmente vigente. 

La precedente proposta di legge n. 1987 del 24/7/2024, recante Disposizioni in materia di piani particolareggiati o di lottizzazione e di interventi di ristrutturazione edilizia connessi a interventi di rigenerazione urbana, del resto, in modo almeno più trasparente, proponeva l’approvazione di un sostanziale condono per tutti gli illeciti che oggi si vuol far semplicemente scomparire, con una insostenibile rilettura delle norme. 

Naturalmente, la proposta di legge originaria non poteva essere applicata retroattivamente e non sarebbe dunque stata idonea a evitare e/o a cancellare i processi e le inchieste nel frattempo avviate a Milano. Se, dunque, già l’impostazione del nuovo testo lo rende insuscettibile di approvazione, deve altresì osservarsi che esso difetta degli ulteriori presupposti di un’interpretazione autentica la quale, come noto, necessita di un vero contrasto giurisprudenziale e di una attenta valutazione degli impatti sui giudizi in corso. 

Nel caso di specie, al di là del fatto che, in passato sono già state emesse circolari – non leggi – interpretative della disciplina in discussione, va chiarito che l’asserita incertezza cui la nuova legge dovrebbe far fronte, semplicemente, non esiste: non vi è, infatti, alcuna nuova e inopinata interpretazione della legislazione urbanistica/edilizia da parte della Procura di Milano. Qui si tratta, piuttosto, di alcune determine dirigenziali che, tra il 2015 e il 2018, senza neppure l’avallo degli organi politici del Comune, hanno di fatto stravolto l’applicazione delle norme fondamentali di settore, creando un sistema urbanistico ed edilizio semplificato e in deroga – caso unico in Italia – che, per plurime ragioni, è stato contestato dalla Procura di Milano, oltre che da diversi GIP e GUP: questi atti ammnistrativi sono la ragione del blocco dell’edilizia di cui si lamentano gli Operatori e la Giunta comunale. 

Di fatto, queste determine hanno consentito l’approvazione di progetti urbanistici che prevedono la realizzazione di edifici anche di grandi dimensioni e altezze, che comportano significativi incrementi del carico urbanistico: 

  • in assenza di piani attuativi e, conseguentemente, in modo non coordinato né controllato e in assenza di prescrizioni in materia di standard e servizi adeguati al contesto territoriale e ai bisogni indotti dai nuovi abitanti; 
  • e/o qualificando gli interventi quali mere ristrutturazioni edilizie, anche a fronte di cambi di destinazione d’uso da commerciale/industriale a residenziale, e pure se il nuovo edificato non conserva alcuna traccia e/o memoria di quello preesistente; 
  • attraverso la mera presentazione di SCIA e lo svolgimento di procedimenti amministrativi semplificati e non pubblici; 
  • con pregiudizi anche di carattere erariale, considerato che i costi connessi agli interventi di ristrutturazione sono meno onerosi (anche in termini di monetizzazione degli standard) rispetto alle nuove costruzioni e impongono minori compensazioni a beneficio della comunità. 

Di fronte a tale situazione, non si comprende quale interesse pubblico contrario potrebbe effettivamente essere opposto per giustificare la torsione della legislazione di settore. 

Neppure, come si accennava, la nuova interpretazione potrebbe essere avallata dalla giurisprudenza che, in ogni ordine e grado, sino alla Corte Costituzionale, al contrario, è sempre stata costante nel mantenere una lettura testuale e costituzionalmente orientata delle norme evocate. 

Anche dal punto di vista pratico, del resto, la prassi che si intende avallare ed estendere a tutta Italia comporterebbe una serie di ineludibili problemi: 

  • scomparirebbe, di fatto, la differenza tra ristrutturazione edilizia e nuova costruzione, con evidenti criticità anche in relazione all’art. 3 Cost., perché verrebbero trattate in modo difforme situazioni pressoché identiche; 
  • per quanto attiene alla pianificazione, sarebbe difficile sostenere che il livello di dettaglio dei PA possa essere raggiunto nei PGT – che vengono approvati ogni cinque anni e hanno carattere generale, per tutto il territorio comunale; 
  • non solo: con la sostituzione del PA con convenzioni sottoscritte dal Comune e dagli Operatori verrebbe meno una delle più importanti manifestazioni dell’azione di bilanciamento degli interessi che compete alla p.a. e la pianificazione di spazi anche ampi del territorio comunale si ridurrebbe a una trattativa privata e meramente economica tra imprese e tecnici comunali, sottratta al processo di decisione democratica, alla verifica e alla condivisione da parte della comunità cittadina. 

Non a caso, se osserviamo altre esperienze europee, si rinvengono frequenti scelte a favore di una pianificazione territoriale dettagliata e basata su un forte coinvolgimento delle autorità locali e della cittadinanza. 

  • Ancora, si favorirebbe ulteriore consumo di suolo, in tempi di degrado ambientale e crisi climatica, in contrasto con la normativa di settore, oltre che con gli artt. 9 e 42 Cost. 

Se, dunque, il problema sta (sinteticamente) in questi termini e nasce da singoli e specifici provvedimenti dirigenziali, forse potrebbe (e avrebbe potuto, se non si fosse perso tanto tempo a immaginare legislazioni prive di fondamento) essere affrontato in modo diverso: in sede ammnistrativa e, semmai, per gli edifici già costruiti, attraverso programmi e percorsi di Giustizia Riparativa. 

Del resto, in parte, è quel che è già successo: il Comune di Milano ha annullato in autotutela le determine incriminate e, con delibera di Giunta 199/2024 ha istituito un gruppo di lavoro interno cui è stato attribuito il compito di riesaminare tutte le pratiche a rischio di inchiesta, per riportarle sui binari della legislazione vigente.

Altre specifiche determine sono state approntate per ristabilire lo status quo in termini di oneri di urbanizzazione, ad esempio. 

Ragioni di carattere legale e pratico, dunque, dovrebbero indurre il Senato ad abbandonare il Progetto di legge in discussione. 

Alla medesima conclusione, dovrebbe portare la consapevolezza di ciò che avverrebbe in caso contrario: 

  • i Comuni italiani sarebbero esposti a danni erariali ingentissimi, connessi alla diminuzione degli introiti connessi all’edilizia; 
  • si porrebbe un problema di concorrenza rispetto agli Operatori che hanno agito secondo le regole e le leggi vigenti, sostenendo oneri maggiori e affrontando procedimenti amministrativi più onerosi e puntuali; 
  • si dovrebbero affrontare i casi che il Comune di Milano ha dapprima autorizzato e poi sospeso o chiesto di rettificare: 
  • la legge verrebbe, con ogni probabilità, rimessa al vaglio della Corte Costituzionale, con ulteriori ritardi e incertezze operative; 
  • si alimenterebbero conflitti con la cittadinanza, connessi alla carenza di servizi indotta, oltre che alla diminuzione di partecipazione e trasparenza nelle politiche ambientali e urbanistiche; 
  • in ogni caso, è bene saperlo, alcune inchieste promosse dalla Procura di Milano andranno avanti, perché i capi di imputazione sollevati sono o saranno diversi da quelli interessati dalla nuova legislazione. 

Si tratta, davvero, di una proposta di legge incompleta e inutile, oltre che illegittima. 

È, soprattutto, però, il fallimento della coscienza politica e democratica del Paese, lo smarrimento dei valori costituzionali e del concetto di Interesse Pubblico. 

È un tentativo fallace di affrontare in modo disorganico e parziale un falso problema. 

È una non agenda: se si avessero il coraggio, la volontà e le capacità, si dovrebbe – semmai – dar seguito a un’agenda, a una vera riforma. Che tenga conto, sì, dei cambiamenti intervenuti negli ultimi decenni, ma di quelli reali, connessi al riscaldamento globale e alla crisi economica e sociale, che imporrebbero maggior servizi pubblici e certo più attenzione al suolo e all’ambiente. 

Avvocata ambientale e presidente dell’Associazione Systasis – Centro Studi per la prevenzione e la gestione dei conflitti ambientali

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