L’arroganza istituzionale che tracima in violenza verbale, e si concretizza in forzature come il decreto legge sui paesi sicuri adottato ieri sera dal governo, rischia di travolgere i principi fondamentali della democrazia e del costituzionalismo. Affiora la protervia di un potere che pretende di essere senza limiti, nell’imporre la propria volontà.
Senza limiti nel non rispettare le istituzioni: la magistratura, ma anche le stesse istituzioni che si rappresentano e dalle quali provengono gli attacchi, governo e presidenza del senato; senza limiti nel violare vite, dignità e diritti.
È un potere feroce contro le persone, disumanizzate e ridotte a pedine nel gioco politico, come propaganda spicciola ma anche come tassello nella costruzione di una (non)cultura intrisa di un razzismo coloniale e suprematista.
Le persone divengono meri strumenti di una guerra ibrida condotta sui migranti e contro i migranti; quei migranti – ricordiamolo – che sono laboratorio dove sperimentare restrizioni dei diritti.
Non è la magistratura che esonda, ma è il governo che non rispetta gli argini costituzionali, dalla separazione dei poteri alle norme in materia di asilo e libertà personale al rispetto del diritto internazionale e sovranazionale ai quali il nostro ordinamento si conforma in attuazione del principio internazionalista.
Un inciso. Lasciamo per un momento il compito di puntellare gli argini della democrazia continuamente erosi dal fiume di parole e provvedimenti del governo. Il diritto di asilo costituzionale sancisce il diritto di ingresso nel territorio della Repubblica e l’effettività che lo percorre rende evidente il contrasto in sé con l’adozione delle finzioni giuridiche (truffe giuridiche?) che sottostanno alle procedure in frontiera, delocalizzate e non.
Torniamo agli argini. La separazione dei poteri e la garanzia dei diritti, assi portanti del costituzionalismo sin dalla Dichiarazione francese del 1789, radicati in una storia secolare e sanciti nella Costituzione, sono trattati come un fastidioso orpello, un limite da rimuovere.
L’attacco alla magistratura è parte della deriva autoritaria: si vuole un giudice che applichi – citare Montesquieu è scontato ma necessario – fedelmente le «leggi tiranniche», magari quelle come il disegno di legge sicurezza in discussione, che si faccia «oppressore» al servizio del capo.
Le parole denigratorie si accompagnano a falsità populiste che distorcono il senso dell’indipendenza della magistratura, che non deve rispondere al popolo, ma amministrare la giustizia «in nome del popolo», con una funzione di salvaguardia rispetto al principio di maggioranza, a tutela dei diritti e delle minoranze.
Che il giudice sia soggetto soltanto alla legge è garanzia di indipendenza, usare la legge ad hoc per torcere pronunce giurisdizionali è una eterogenesi dei fini: una discrezionalità del legislatore (alias, ormai, il governo) che sconfina nel mancato rispetto della separazione dei poteri.
Con l’adozione del decreto legge sui paesi sicuri, per cercare di derogare al sistema di garanzie in tema di diritti come alla separazione dei poteri, stiamo regredendo di secoli, dai vincoli del lex facit regem alla pretesa che rex facit legem. Non solo, assodata, e non concessa, la continua violazione dei presupposti del decreto legge, in questo caso pare di scorgere dietro l’urgenza quasi uno spirito vendicativo, un primitivismo politico che adotta una prospettiva di scontro istituzionale che tracima in delegittimazione e disconoscimento. La distanza rispetto allo spirito di collaborazione tra istituzioni – richiamato dal presidente Mattarella -, nel comune intento di esercitare e garantire il principio democratico, è siderale. Le istituzioni non si reggono in se stesse e per se stesse ma sono al servizio dei cittadini (tutti e nella loro plurale espressione). Sono le persone e i diritti ad essere al centro; la soggezione del giudice solo alla legge, la sua indipendenza (articoli 101 e 104 della Costituzione) assicurano che ciò avvenga, tutelando dagli arbitri dell’esecutivo, come Costituzione rigida e giustizia costituzionale limitano il legislatore. Sono i fondamenti di una democrazia costituzionale.
E sia chiaro, un decreto legge non può sovvertire diritti e principi costituzionali, tra i quali il rispetto del diritto internazionale e la sovraordinazione del diritto dell’Unione europea (per cui, in presenza di un contrasto, le norme del decreto dovranno essere disapplicate); forse il governo dimentica che la nostra non è una costituzione flessibile come lo Statuto albertino, che non siamo nel ventennio.