Satnam Singh, anatomia di un sistema

22 Giugno 2024

Lorella Beretta Giornalista

Dopo la morte di Satnam Singh si è tornati a dare spazio al fenomeno dello sfruttamento della manodopera soprattutto straniera, e irregolare, nella filiera agricola italiana. Una denuncia mai silenziata ma che difficilmente diventa punto di un’agenda politica con una visione di sviluppo e rispetto dei diritti. Questa è una piccola rassegna stampa non rassegnata di quanto detto in questi giorni.

Satnam Singh era una di quelle persone che, quando in vita, vengono definite con una nota di disprezzo “clandestini”, alla meno peggio “irregolari”, uno status giuridico inevitabile in un Paese in cui non è permesso entrare in modo regolare per lavorare. Da quando si è iniziato a “gestire” le migrazioni, le virgolette sono d’obbligo, l’Italia ha affrontato il fenomeno con due strumenti inadeguati: flussi d’ingresso sottodimensionati rispetto alle esigenze espresse dal mercato e massicce sanatorie. Un caso unico in tutta Europa. Ne ha scritto per Libertà e Giustizia, Maurizio Bove, Presidente di Anolf Milano e Responsabile Immigrazione Cisl Milano Metropoli, nell’articolo Satnam Singh e i “clandestini” forzati utili al sistema.

Per intenderci, la condizione di clandestinità non è come dice la destra oggi la causa di un mercato delle braccia al ribasso ma ne è il suo frutto e allo stesso tempo la sua linfa vitale: più gli immigrati sono ricattabili e impossibilitati ad esigere diritti, più l’asticella dei loro e degli altrui diritti si abbassa. I numeri di questo sfruttamento ci dicono che è un fenomeno sistemico in un mercato libero di sfruttare qualunque ingranaggio debole, bambini compresi come racconta lucidamente Igor Traboni su Avvenire, e dove imprese come quella in cui lavorava anche Satnam Singh possono continuare a operare indisturbate anche se indagate da anni proprio per caporalato, come rivelato dal Tg La7.
Le invasioni, smentite da ogni studio da decenni (qui uno dei tanti interventi in questo senso del sociologo delle migrazioni Maurizio Ambrosini), sono l’ossessione inculcata per mantenere questa condizione di illegalità diffusa. Dove si può parlare, ai sensi di legge, di tortura, come fa Paola Regina, avvocata internazionalista, nella sua riflessione per LeG, Satnam Singh, caporalato e tortura nei campi italiani.

Il Messaggero è andato a vedere il censimento delle aziende operanti proprio a Latina: su 10mila aziende, solo 250 hanno aderito al bollino etico promosso dalla Prefettura, titolava sabato il quotidiano romano. È solo un esempio.

Il panorama del lavoro nei campi, e non solo, è frammentato in piccole e piccolissime aziende e cooperative che sfuggono a ogni controllo, a ogni protocollo: lo ha scritto bene in tutti questi anni Fabio Ciconte, scrittore e fondatore dell’associazione Terra!. Lo ha ripetuto sul Domani:
«Faremmo un errore a considerare come un caso isolato quello del bracciante morto dopo aver perso un arto ed essere stato abbandonato dal datore di lavoro nei pressi di casa sua, a Latina. Ci sono ancora troppi lavoratrici e lavoratori sfruttati nelle campagna: il caporalato c’è, anche quando non si vede».
Il sistema di sfruttamento dell’Agropontino è oggetto di denuncia da parte di non poche voci, e tra queste Marco Omizzolo, sociologo, ricercatore Eurispes: nel 2021 raccontò la denuncia del racket subito da parte di una delle vittime della schiavitù nei campi di Latina, o, con Sandro Ruotolo, l’obbligo imposto ad alcuni lavoratori stranieri ad abbassare il capo dinanzi la foto di Benito Mussolini.

Latina, il sapore amaro dei kiwi

Dalla provincia di Latina arriva il 40% dei prodotti agricoli del Lazio. Dalla provincia di Latina vengono esportati in tutta Europa i kiwi Zespri coltivati dai lavoratori indiani. Una recente inchiesta di quattro giornaliste racconta molto bene le storie di queste persone: “Oro verde. Il sapore amaro del kiwi” è il titolo del progetto giornalistico realizzato con IrpiMedia, Danwatch e The Wire da Francesca Cicculli, Charlotte Aagaard, Kusum Arora, Stefania Prandi.

Un raccoglitore di kiwi nei campi dell'Agro Pontino. Foto di Stefania Prandi
Un raccoglitore di kiwi nei campi dell’Agro Pontino. Foto di Stefania Prandi

“Oro verde. Il sapore amaro dei kiwi” è un progetto supportato dal Journalismfund Europe e coordinato da Stefania Prandi, che è anche autrice dell’omonima mostra fotografica realizzata da lei con la Fondazione Città della Pace per i bambini della Basilicata. Le foto sono state scattate da Prandi nel viaggio di ricerca tra l’Agro Pontino e il Punjab, regione dell’India dalla quale arrivano tanti dei braccianti indiani. La mostra si trova fino al 26 giugno a Rionero in Vulture, in provincia di Potenza, nella sede di Visioni Urbane e dal 29 luglio sarà esposta alla Cappella dei Celestini di Potenza, nell’ambito del Festival delle notti bianche.

Stefano Feltri, che questa settimana ha condotto la rassegna stampa di Radio 3 Rai, sollecitato dalle domande degli ascoltatori è andato ad indagare sul percorso fatto dai prodotti del campo della Agrilovato nei quali è morto Satnam Singh: Chi ha mangiato gli ortaggi raccolti da Satnam Singh?
Quello che ha scoperto sono le zone grigie della cosiddetta trasparenza contabile e di tutte quelle norme che lasciano ampio margine di movimento alle aziende come questa, di cui si perdono i conti e le tracce.

Infine. Dietro Satnam Singh c’è una moglie, 25 anni, anche lei indiana, anche lei impiegata in nero e senza diritti nei campi italiani. Di lei sappiamo solo il nome, Soni. Ora ha ricevuto un permesso di soggiorno temporaneo straordinario per motivi di giustizia: non parla bene italiano, è sola e il marito le è morto a fianco, con il braccio mozzato dai uno dei macchinari che anche lei conosce bene.
La Cgil di Roma e Lazio, insieme alla Flai Cgil di Roma e Lazio, la Camera del Lavoro di Frosinone e Latina e la Flai Cgil di Frosinone e Latina, ha lanciato una raccolta fondi per darle supportato. È possibile effettuare donazioni tramite bonifico bancario su:

Conto BPER intestato alla CGIL di Roma e del Lazio all’iban IT16L0538703207000035325085, con causale: “Fondo sostegno famiglia Satnam Singh”.

Lorella Beretta è giornalista freelance. È responsabile della comunicazione di Libertà e Giustizia e curatrice di questa newsletter.

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