Nisivoccia. Berlusconi e l’assenza del noi

16 Giugno 2023

Niccolò Nisivoccia Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

di Niccolò Nisivoccia, membro del Consiglio di Presidenza di Libertà e Giustizia

È morto Silvio Berlusconi, e con lui l’unico elemento che abbia saputo davvero tenere insieme la sinistra negli ultimi trent’anni: l’unico e forse anche ultimo elemento, purtroppo, intorno al quale la sinistra abbia saputo e, anche solo a posteriori, sappia tuttora trovare una propria identità, una propria unità – per quanto fallaci e fragilissime, come qualunque unità o condivisione fondate su elementi esterni al sé piuttosto che sul riconoscimento di un valore proveniente dal proprio interno, dalle proprie convinzioni, dalla propria storia. Anzi: tanto più fallaci e fragili perché all’unità identitaria e d’intenti nella fase destruens dell’opposizione non ha mai fatto seguito, nella sostanza, un’analoga unità identitaria e d’intenti nella fase construens della formulazione e proposizione di un progetto alternativo, bastante a sé stesso, autonomo rispetto a quell’elemento di coesione proveniente dall’esterno. Alla fine si è dunque trattato non di un’unità, ma di un’illusione – alla quale troppo a lungo abbiamo ceduto e creduto; e che troppo a lungo abbiamo pensato potesse supplire al vuoto di un’unità e di un’appartenenza più vere, più consapevoli.

A ben vedere, la sinistra non è stata mai neppure capace di farci i conti, con Berlusconi, per quanto fosse al centro dei suoi discorsi: non è mai stata capace neppure di decostruirlo. Da un certo punto di vista è come se, nei suoi confronti, la sinistra fosse stata vittima di quel meccanismo che la psicoanalisi definisce “rimozione”: e cioè di quel meccanismo per effetto del quale ciascuno di noi tende ad allontanare da sé – a rimuovere, appunto – tutto ciò che ci spaventa e che ci provoca ansia, paura, angoscia. Nelle elezioni del 2001, addirittura, Francesco Rutelli era riuscito a condurre l’intera campagna elettorale mantenendo fede al proposito di non nominarlo mai, quel nome: Berlusconi. Voleva disconoscerlo perfino come avversario. Ma le rimozioni continuano ad agitarsi nel profondo nonostante qualunque tentativo di espulsione, e prima o poi tornano a galla: e non poteva quindi che essere destinata al fallimento, e fallire, una politica che vi si fondasse. Era in realtà con sé stessa che doveva fare i conti, la sinistra, e che aveva paura di farli: Berlusconi era solo un alibi, dietro al quale si nascondeva un vuoto che – quantomeno dalla caduta del PCI in avanti, se non da prima – nessuno è stato più in grado di riempire di contenuti, di idee, di ideali. Altro che pensieri lunghi, progetti, utopie: la sinistra, come tutta la politica, negli ultimi trent’anni è diventata progressivamente, e sempre di più, una povera cosa svilita, sfiorita, tradita, una pratica appena poco diversa da una pura e semplice amministrazione tecnica dell’esistente.

Ora da molte parti si sono già levate le beatificazioni, le santificazioni: come se la morte lavasse e pulisse tutto. Ma è bene guardarsi anche dai livori e dagli strali, perché è soprattutto nei confronti di sé stessa che la sinistra dovrebbe sentirne la pulsione: contro ciò che non è stata capace di incarnare, di essere, contro ciò che è diventata. “La storia siamo noi”, cantava Francesco De Gregori in una celebre canzone di molti anni fa, e poi aggiungeva: “Nessuno si senta offeso”. Ecco: non offendiamoci nel dirci e nel darci atto che le colpe di Berlusconi sono anche le nostre, o quantomeno sono speculari alle nostre, a quelle di ciascuno di noi – in qualunque modo ciascuno di noi votasse o non votasse. Siamo stati, come minimo, troppo deboli; o in ogni caso troppo poco abili nell’immaginazione e nella costruzione di un futuro diverso.

Incolpare gli altri da noi risulta sempre puerile, quando si pretenda di farne un motivo di discolpa rispetto a sé stessi: come se, nel bene e nel male, è dagli altri che dovessimo sempre dipendere, come se non esistesse la responsabilità individuale. Come se non fossimo noi i primi responsabili delle nostre azioni, o delle nostre mancanze: come se non fosse questo ciò che la Storia, tutti i giorni, ci insegna o dovrebbe insegnarci. Altrimenti ci troveremo sempre nello stesso punto, o sempre un passo più in là: come infatti ci troviamo, oggi, davanti al governo di Giorgia Meloni.

Nato a Milano nel 1973. Avvocato e scrittore. Svolge attività di docenza presso l’Università degli Studi Milano e l’Università Cattolica del Sacro Cuore e di relatore in convegni e seminari.

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