Povera patria/ Schiacciata dagli abusi del potere/di gente infame, che non sa cos’è il pudore.. Tra i governanti/ Quanti perfetti e inutili buffoni…
I versi struggenti di Franco Battiato sono la colonna sonora che ci restituisce la migliore rappresentazione del tempo in cui siamo immersi. Anche quest’anno verrà il 2 giugno, anche quest’anno ci sarà la tradizionale parata, i reparti con la bandiera italiana sfileranno dinanzi al palco della autorità, mentre le frecce tricolori sfrecceranno sul cielo della capitale. Mai come questa volta la festa della Repubblica sarà l’occasione di una celebrazione solo apparente. Nei suoi settantasette anni di vita la Repubblica ha attraversato vicende tempestose, è stata esposta alle minacce del tintinnar di sciabole, si è presentata ferita, con il volto insanguinato per le stragi del terrorismo e delle mafie, è stata rappresentata da ceti dirigenti mediocri, ma non era mai accaduto che la Repubblica venisse celebrata da un ceto politico che trae origine da una cultura che ha vissuto l’avvento della Costituzione repubblicana come il frutto di una sua sconfitta storica. Una sconfitta che adesso ha la possibilità di rovesciare, recuperando dalla pattumiera della Storia, gli spiriti selvaggi che avevano agitato la prima metà del secolo scorso. Un ceto politico che, mettendo mano agli strumenti della comunicazione pubblica, ha lasciato intravedere l’ambizione di cambiare la narrazione del popolo italiano e di sostituire i valori che sorreggono l’edificio della Repubblica con i disvalori che hanno informato la vita pubblica prima della nascita della Repubblica, a cominciare dallo slogan Dio, Patria e Famiglia, coniato nel 1930 dal Segretario del PNF, Giovanni Giurati, per nascondere, dietro un velo ideologico la realtà concreta del fascismo. Da qui il recupero del concetto di nazione, declinato come sangue e suolo “Blut und Boden”, per marcare una linea di frattura rispetto all’universalità dei diritti dell’uomo, come scolpita nell’art. 2 della Costituzione e nella Dichiarazione universale del 48, una linea di frattura che consente misure discriminatorie nei confronti della popolazione degli immigrati e di tutti i soggetti identificati come “altri” rispetto alla nazione, intesa come “etnia”.
Passando dalla nazione all’etnia, viene corrotto anche il concetto di Patria: la Patria come arroccamento sovranista di Patrie l’un contro l’altra armate. Tutto ciò rende sempre attuale la lezione di Don Milani che nel 1965 (L’obbedienza non è più una virtù) scriveva: “Non discuterò qui l’idea di Patria in sé. Non mi piacciono queste divisioni. Se però voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri.”
Occorrerà spiegare a questo nuovo ceto politico ignorante che, con l’avvento della Costituzione, il concetto di Patria è cambiato radicalmente. La Patria non si può più identificare in un “etnia”, fondata su suolo e sangue. La Patria è il patrimonio dei padri. Nella Repubblica democratica la Patria si identifica con il patrimonio che ci hanno lasciato i padri costituenti. La Patria del popolo italiano sono le istituzioni democratiche, non separabili dai valori fondamentali dell’ordinamento: l’eguaglianza, la libertà, la Pace e la giustizia. Nella Patria italiana c’è il ripudio della guerra, il pluralismo, la laicità e l’universalità dei diritti umani. I patrioti non sono quelli che impediscono lo sbarco alle zattere dei migranti, ma sono coloro che nelle istituzioni e nella società civile, con ruoli diversi, ogni giorno testimoniano la cura per gli altri, l’impegno per il bene pubblico, il rifiuto della discriminazione e del linguaggio d’odio.
Sotto il profilo politico, i Patrioti sono tutti coloro che si impegnano nella resistenza costituzionale per sviluppare e dare attuazione ai beni pubblici repubblicani che la Costituzione ha consegnato al popolo italiano e per impedire lo sfascio dell’unità della Repubblica attraverso l’autonomia differenziata o la concentrazione autoritaria dei poteri attraverso le riforme della forma di governo.
Bisogna riscoprire il significato profondo della festa della Repubblica per evitare che qualcuno possa fare la festa alla Repubblica.