Gli allievi e i colleghi costituzionalisti la ricordano per il garbo e il tratto signorile, che metteva al servizio del rigore delle idee e della determinazione nel sostenerle. Lorenza Carlassare, morta nella casa di Padova dov’era nata nel 1931, ha vissuto 91 anni «con il faro della Costituzione», per citare il titolo di un suo articolo del 2021 su Micromega. È stata la prima donna a ottenere una cattedra di diritto costituzionale, rompendo il soffitto di cristallo di un universo strettamente maschile, se non maschilista, e fortemente intrecciato con la politica. Ha sempre legato lo studio all’impegno pubblico. Mai ha offuscato la sua militanza a sinistra nelle nebbie di una anodina neutralità che pure le avrebbe garantito incarichi pubblici.
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Padovana, allieva di Vezio Crisafulli che fu successivamente giudice della Consulta, si era laureata a 21 anni con il massimo dei voti. Ma l’inizio della carriera accademica fu travagliato. Ottenne un assegno di ricerca che però le venne sospeso dopo il matrimonio con Giovanni Battaglini, professore di diritto internazionale scomparso nel 2005. «L’esame di procuratore lo diedi subito – racconterà in un’intervista – anche se l’avvocato non l’avrei mai fatto. E anche volendo, non avrei potuto fare il magistrato perché era in vigore una legge fascista che escludeva le donne dalla magistratura oltre che da funzioni dirigenziali nella pubblica amministrazione». La collega e ministra Marta Cartabia la ricorda come «una colonna di quella straordinaria generazione di costituzionalisti che ci sono stati maestri, un punto di riferimento per tutti e un modello per noi studiose più giovani». E poi sottolinea «la passione civica, la personalità briosa e affabile, la mente brillante e non convenzionale», paragonandola a Valerio Onida, già presidente della Consulta recentemente scomparso: «Erano molto legati e come lui non ha mai smesso di mettere il suo sapere al servizio della vita della Repubblica, voce critica e impegnata del dibattito pubblico».
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Accademica dei Lincei, Carlassare ha insegnato a lungo a Padova, dove nel 2008 aveva fondato la Scuola di cultura costituzionale, poi diretta per 11 anni, rivolta a docenti delle scuole superiori, dottorandi di ricerca, studiosi e avvocati ma soprattutto aperta a tutti i cittadini per diffondere una cultura costituzionale non incartapecorita. Il suo libro fondamentale resta Conversazioni sulla Costituzione (Cedam) ripubblicato ripetutamente, in ultimo nel 2020, dopo la prima edizione del 1996. Era, quello, il periodo in cui aveva condiviso l’allarme di don Giuseppe Dossetti in difesa della Costituzione, dopo l’avvento di Berlusconi. Da allora, il suo impegno pubblico non è mai mancato. Non c’era appello di costituzionalisti in difesa della Carta del ’48 in cui non comparisse la sua firma.
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Con Zagrebelsky aveva fondato l’associazione Libertà e Giustizia, protagonista nell’opposizione civile a Berlusconi. Si era battuta contro le riforme costituzionali nel 2006 (centrodestra) e 2016 (Renzi). Ma nel 2020 si era pronunciata, con motivazioni invero fragili, a favore della riduzione del numero dei parlamentari, promossa dal M5S che più volte l’aveva indicata come possibile presidente della Repubblica.
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Nel 2021 aveva difeso la costituzionalità del green pass «utilissimo perché consente a tutti noi una maggiore libertà di movimento». Le ultime prese di posizione risalgono agli ultimi mesi. Contro la candidatura di Berlusconi al Quirinale, definita «un’offesa alla dignità della Repubblica e di milioni di cittadini italiani», e sulla guerra, contestando l’invio delle armi all’Ucraina aggredita. Intervistata dal Fatto, aveva sostenuto che «la Costituzione italiana è pacifista e la guerra difensiva è l’unica consentita».
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Numerosi i messaggi di cordoglio. Non solo dal mondo accademico e politico (mettendo miracolosamente d’accordo Conte e Di Maio), ma anche dalla società civile: dall’Anpi alla Fiom, dal Coordinamento per la democrazia costituzionale ai Giuristi democratici.
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La Stampa, 22 agosto 2022