Per l’ex presidente della Consulta Gustavo Zagrebelsky il pericolo è che si metta mano alla Costituzione, in particolare al sistema parlamentare.
Secondo il direttore di MicroMega l’esito delle prossime elezioni è certo: “Salvo miracolo, l’unico interrogativo è se il governo di quanti hanno ‘in gran dispitto’ la nostra bella Costituzione repubblicana (nata dalla Resistenza antifascista) si chiamerà Meloni-Salvini o Salvini-Meloni”. Per evitare però che le destre non solo vincano ma stravincano, dato il nostro sistema elettorale, per Flores d’Arcais è necessario che a sinistra si trovi a tutti i costi l’accordo per candidati unici nei collegi uninominali. Ne abbiamo parlato con l’ex giudice della Corte costituzionale, Gustavo Zagrebelsky.
Scrive nel suo ultimo editoriale il direttore di MicroMega Paolo Flores d’Arcais che l’esito delle elezioni di settembre è certo: un governo ex-neo-filo-post-para fascista, condivide questa analisi?
Condivido la grande preoccupazione, anche se non userei queste espressioni, che mirano a colpire più l’umore che la ragione. Nonostante ci siano elementi che andrebbero decodificati uno a uno, non vorrei che si usasse la categoria “fascismo” come in un fascio, appunto, come fanno certi giornali che insistono in una maniera abbastanza acritica su questa idea del fascismo incombente. Mi pare che in questo modo si ricalchi quanto fece a suo tempo Berlusconi, quando riportò in auge la parola “comunismo”, etichettando in tal modo tutto ciò che era a sinistra ed evocando così di fatto dei cliché. Trovo molto più produttivo, pur nutrendo una grande preoccupazione, spacchettare questo concetto e andare a vedere qual è l’atteggiamento nei confronti dei diritti civili, delle minoranze, dei migranti… Ed è questo a essere particolarmente preoccupante: l’atteggiamento di intolleranza nei confronti di tutti coloro che sono “diversi” politicamente, etnicamente, culturalmente. Intolleranza che è poi il risvolto della negazione dei princìpi dello Stato di diritto, dell’uguaglianza dei cittadini, diciamo pure della Costituzione, parola che ovviamente mi è particolarmente cara. Confrontare gli atteggiamenti, gli stilemi, i programmi, le cose che sono state fatte da pezzi di questa destra con il quadro di princìpi in cui ci riconosciamo, mi sembra più produttivo che dire che il fascismo è alle porte. Senza con ciò negare che sia preoccupante che una componente di questo schieramento di destra abbia un humus, seppure minoritario, di fascisti conclamati come quelli di Casa Pound.
Trova quindi che la definizione di ex-neo-filo-post-para fascista non si presti a definire Fratelli d’Italia?
Non la userei: non per ragioni teoriche o teoretiche ma per ragioni pratiche. Mi sembra più produttivo andare a sfogliare gli elementi, come si fa con un carciofo, per vedere cosa c’è dentro. Però ribadisco: attorno a Fratelli d’Italia c’è tutto un mondo, spero minoritario, di gente violenta che coltiva esplicitamente la nostalgia del fascismo. E questa è una cosa che andrebbe gridata, perché quel mondo dovrebbe essere fuori legge mentre è una colonna portante dell’elettorato di quel pezzo di destra.
E circa l’esito, già scritto, delle elezioni? Condivide la valutazione di Flores d’Arcais?
Intanto diciamo che la speranza è l’ultima a morire: “La Speme, ultima Dea, fugge i sepolcri”, per dirla con Foscolo, anche se mi auguro che la nostra prospettiva non siano i sepolcri… In effetti tutto sembra indicare che dalle prossime elezioni uscirà un governo Meloni-Salvini. E così sembra tanto più in quanto, e questo è il nucleo dell’editoriale di Flores d’Arcais, ho l’impressione che l’altro versante del mondo politico (che fa capo al Pd) non si renda conto del pericolo incombente e stia ragionando come se la vittoria sia contendibile. Temo invece che non lo sia più e che obiettivo realistico non sia vincere (linguaggio bellico che applicato alla politica peraltro non mi piace molto), bensì evitare che l’altra parte stravinca. In politica un sano pessimismo/realismo è una virtù e quindi sarebbe consigliabile partire dall’idea che è molto probabile che l’altra parte vinca ma fare tutto affinché non stravinca.
Quindi è d’accordo con il direttore di MicroMega quando sostiene che, data la legge elettorale con un terzo dei seggi assegnati in collegi uninominali e di fronte alle destre che presenteranno un solo candidato per collegio, le non-destre devono fare altrettanto, al fine di scongiurare l’ipotesi che le destre stravincano?
Dato il sistema elettorale, questa esigenza è chiara. Perché se la coalizione di destra stravince allora il rischio che si metta mano al quadro costituzionale è grande. Intendiamoci: in tutti questi anni la Costituzione è stata ignorata e violata però c’è un nucleo forte che va preservato: il sistema parlamentare, che è quello che garantisce il pluralismo, una certa idea di politica… Sono anni che la destra è in agguato con progetti anti-parlamentari. Anche l’idea che stava dietro la riforma costituzionale Renzi-Boschi era di quel tipo, non nella forma ma nella sostanza: si proponeva l’abolizione del bilanciamento del potere politico delle due Camere, quindi l’abolizione del Senato; un sistema elettorale che avrebbe fatto vincere una parte sull’altra e indicare il capo del governo. Era un disegno fondamentalmente contrario all’idea di politica come composizione del pluralismo. Lo slogan – shock – era: “Vogliamo un sistema per cui la sera stessa delle elezioni si sappia chi ha vinto”. Ma questo è un sistema che può funzionare in altri contesti politici, in Italia sarebbe stato estremamente pericoloso. Ed è quello che vuole la destra: si va a votare, vinco e non devo più tenere conto di nessun altro.
Ma in quel caso la riforma portava la firma di Renzi e Boschi…
Sì, ma questa vocazione sostanzialmente autoritaria c’è a destra in maniera esplicita ma anche altrove… E poi lei Renzi dove lo collocherebbe?
Non a sinistra…
Ecco. E ricordiamoci che in quel contesto Renzi lavorava per sé: era l’epoca in cui pensava di poter stravincere e aveva bisogno di un sistema costituzionale conforme alle sue ambizioni. Per tornare alla questione da cui siamo partiti: per me l’esigenza primaria è cercare di evitare che le destre stravincano in modo che non abbiano i numeri, la forza parlamentare per modificare la Costituzione in questo senso.
Alla luce di tutto ciò, mi pare ci siano ragioni sufficienti per scegliere un’“ammucchiata” elettorale, sbaglio?
La chiamerei una coalizione d’emergenza. Non è l’optimum ma nella situazione attuale mi sembra un male necessario.
E in quest’ottica qual è l’ostacolo più grande?
È la questione dei 5 stelle. Su questo vorrei sottolineare due cose che non mi pare circolino nel dibattito e nell’informazione. Prima di tutto non riesco a capire per quale ragione sia stato pronunciato questo ostracismo nei confronti del movimento. I 5 stelle hanno collaborato con il Pd nel secondo governo Conte: non c’era quindi una distanza incolmabile. Adesso invece siccome sono stati il primo granello della valanga che ha fatto cadere il governo Draghi sono da bandire. Ma davvero ci stupiamo che nel momento in cui si avvicinano le elezioni questo governo di salute pubblica esploda? Sarebbe stato stupefacente il contrario, perché tanto più ci si avvicina al giorno delle elezioni tanto più le forze politiche hanno bisogno di differenziarsi le une dalle altre per poter dire al loro potenziale elettorato: “Vota per me e non per quell’altro partito”. È nella logica delle cose che avvicinandosi le elezioni il coagulo, politicamente piuttosto innaturale giustificato dalle emergenze, fosse destinato a esplodere. Ciononostante, da parte della dirigenza del Pd (non so qual è il sentire dei militanti) è stato pronunciato l’anatema: “Mai più con i 5 stelle perché hanno fatto cadere il governo Draghi”. Questo fatto è dunque una macchia indelebile? Ma la politica non è fatta di queste cose. Mi pare incomprensibile che, registrate le colpe, archiviato il discorso sulle responsabilità, non si dica: “Malgrado tutto guardiamo avanti”. Allora la mia impressione è che ci sia un non detto dietro questo anatema, vale a dire che la ragione di esso non risieda nella caduta del governo ma nel fatto che su alcune questioni di politica estera e di politica militare il movimento 5 stelle abbia assunto posizioni leggermente autonome rispetto al blocco Nato-Europa atlantica-Stati Uniti. Questo mi pare il punto. Ma davvero il nostro Paese non ha lo spazio per una politica minimamente autonoma? È chiaro che siamo dentro un sistema ma non è detto che ciò implichi cieca obbedienza. Siamo in un sistema, ma per dignità nazionale dovremmo avere voce per incidere su di esso, per orientarlo. Ho l’impressione che dietro l’ostracismo nei confronti del movimento 5 stelle ci sia l’intolleranza nei confronti del minimo scarto, del minimo gesto di autonomia.
Qual è la sua valutazione dell’operato del governo?
Mi pare che rispetto ai compiti per i quali era stato chiamato abbia fatto bene: il Pnrr, il Covid, la difesa dei conti pubblici… Ma la politica è un’altra cosa. E del resto Draghi ha dimostrato di non essere – e forse di non voler essere – un politico.
Che contributo può dare la società civile per affrontare cinque anni di governo ex-neo-filo-post-para fascista, e provare a far nascere una sinistra degna di questo nome, giustizia-e-libertà?
C’è tutto un mondo di associazioni, gruppi, movimenti che sono “società civile” e che operano nei settori più vari. Il problema è riuscire a coordinare tutte queste realtà: solo un partito può farlo. Un partito che intanto conosca i tasselli che compongono quella che va sotto il nome di società civile, che non vuol dire in conflitto con la politica, ma società che chiede politica. E in secondo luogo che abbia la grandezza d’animo di dire: dobbiamo essere permeabili, ma non passivamente, dobbiamo cercare la permeabilizzazione. Il banco di prova sarà la formazione delle liste elettorali dei candidati. Vedremo se tutto sarà cucinato all’interno delle cricche di partito o se ci sarà questa apertura.
Micromega, 29 luglio 2022