Fabrizio Barca, già dirigente di Banca d’Italia, ex ministro nel governo Monti, oggi impegnato nel progetto del Forum Diseguaglianze e diversità, sullo sciopero generale non ha dubbi.
Qual è stata la sua reazione?
Restituisce normalità al Paese. La democrazia non è fatta di attacchi dietro le quinte, di “non detti”. Un’opinione diversa deve manifestarsi e tradursi anche in conflitto, anima della democrazia come dice papa Bergoglio, citando Giovanni Paolo II.
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Draghi dice che è uno sciopero incomprensibile.
Bastano due scelte inique del governo per motivare questa protesta: la modifica regressiva delle aliquote fiscali dove il picco del beneficio (oltre 700 euro) è raggiunto con 50 mila euro di reddito mentre una persona che sta sui 21 mila, reddito medio degli italiani, ne riceve 120. È una misura che viola persino la modesta legge delega fiscale che assicurava il pieno rispetto della progressività.
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E il secondo?
Il Reddito di cittadinanza: la Commissione costituita per legge ha individuato punti di miglioramento che non vengono minimamente applicati, mentre invece si inaspriscono sanzioni, solo sulla carta applicabili.
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Nel libro per Donzelli Diseguaglianze, conflitto, sviluppo , descrive sempre le stesse diseguaglianze oppure oggi c’è un salto di qualità?
La matrice delle diseguaglianze è sempre la stessa: la straordinaria e senza precedenti concentrazione del controllo sulle decisioni, sulla conoscenza e sulla ricchezza frutto della chiusura degli spazi di democrazia e della sostituzione della tecnica alla politica. Il Covid l’ha resa più eclatante perché un’emergenza richiederebbe ancora più democrazia e accesso alla conoscenza.
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E cosa si dovrebbe o si potrebbe fare in controtendenza?
Un esempio positivo sono stati i protocolli sindacato-governo che hanno accompagnato la riapertura lo scorso anno. La strada è quella della legge Lorenzin sui vaccini obbligatori agli 0-16, che introducendo l’obbligatorietà la accompagna con una fase di ascolto delle persone.
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La diseguaglianza si combatte anche con la democrazia?
Sì, perché un’emergenza richiede ancora più democrazia e accesso alla conoscenza. L’Oms per contrastare l’infodemia indica due cose: buonissima comunicazione e ascolto/confronto con le persone. L’Italia ha fatto la prima parte, sia con Conte (con merito, visto che era una situazione inedita) sia con Draghi. Ma la seconda indicazione non è più da tempo nelle corde di chi governa.
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Quali proposte e quale visione per questo Paese?
Tutte le concretissime proposte del Forum Disuguaglianze e diversità sono legate a un concetto semplice: l’articolo 3 della Costituzione. Ogni cosa che facciamo è utile se rimuove gli ostacoli al pieno sviluppo della persona umana. Da decidere attraverso un pubblico dibattito dove i saperi si combinano, quelli dei tecnici, che sono indispensabili, con i saperi diffusi della società. Questo è l’insegnamento di Amartya Sen. Salario minimo, Consigli del lavoro e della cittadinanza, eredità universale: sono solo alcuni esempi.
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E il Pnrr?
I titoli ci sono. Manca l’anima, la risposta coraggiosa alle aspirazioni del Paese. Ma perché non ascoltare le idee che arrivano per promuovere le accelerazioni della transizione ambientale che favoriscono imprese creative e persone vulnerabili? O l’estensione a 100 aree marginali di quei patti educativi inventati da associazioni e insegnanti in molti territori? O il cambio di metodo per migliorare la vita degli anziani non autosufficienti Dobbiamo farcela.
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Nel suo libro c’è un duro attacco alla debolezza della borghesia italiana. È debole anche con il Governo dei Migliori?
Come hanno scritto nel tempo Marcello De Cecco e Pierluigi Ciocca, la debolezza della grande borghesia italiana è un fatto connaturato al Paese. Ma c’è una effervescenza della media borghesia imprenditoriale diffusa, senza la quale l’Italia sarebbe ferma. Ma chi governa, anche in questo momento, non cerca il dialogo con la parte migliore, preferendo puntare su sussidi e trasferimenti a pioggia, in un modo molto anti-liberale, come del resto è il liberismo.
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Come fa a emergere questa parte?
Serve un soggetto politico. Ci sono stati momenti della storia italiana in cui tutti i partiti costituzionali erano anche luogo in cui si mescolavano, in misure diverse, i creativi, le parti più avanzate sia del lavoro che dell’impresa. I partiti erano un luogo e questa cosa è venuta meno.
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Un partito come setaccio delle energie migliori?
Direi un partito come luogo di incontro. Era stato il tentativo iniziale dei meet-up M5S , poi inariditi. Le Agorà del Pd sono un tentativo diverso, ma con simile scopo.
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E come emerge il “partito che non c’è”?
In realtà non lo so, lo scriviamo con franchezza nel libro. E allora vanno tentate diverse strade: approfittare di partiti che scelgono di mettersi “a repentaglio” cioè aprirsi davvero; liste civiche di sinistra che aggreghino fermenti sociali e di movimento oppure, ancora, nuove aggregazioni attorno all’incontro di giustizia sociale e ambientale. Vedremo chi avrà più filo da tessere.