Perché il 25 aprile è divenuto divisivo o, peggio, senza senso

13 Mag 2021

Giuseppe De Rita sostiene che il 25 aprile è una festa che non ha più senso. Cosa avrà voluto dire? E’ necessario chiedercelo. Non ho dubbi che De Rita sia antifascista.

Quindi? E’ la constatazione di un sociologo che legge la realtà e la interpreta? Ma da un sociologo della sua fama ci si aspettano descrizione e analisi. Non flash che assomigliano a battute amare. Per non dire irritate.

Il 25 aprile non ha più sensoPer chi? Per chi ne conosce il significato, ha un doppio senso. Per i fascisti e gli eredi politici del fascismo, di sfumature varie, ha un senso negativo, da cancellare. Il senso della sconfitta. Per chi proviene, in prima persona o per storia familiare, dall’antifascismo militante, è una festa imprescindibile nel suo enorme valore.

Il valore della libertà. La libertà, diceva Piero Calamandrei, che ha il valore dell’aria. Ne conosci veramente il valore quando l’aria viene meno.

Per gli afascisti, gli indifferenti rispetto ad ogni questione civile che non li riguardi in prima persona, è un giorno come un altro, salvo il godere di una giornata di riposo.

Gli indifferenti. Quelli che Antonio Gramsci detestava. Il tarlo che rode dall’interno ogni democrazia, un tarlo pericoloso perché silenzioso e invisibile. A volte, si vede il marciume quando è troppo tardi.

Il 25 aprile divide, o non dice più niente a nessuno, quindi mettiamoci una pietra sopra?

Non c’è una sola festa, e non solo in Italia, che sia vissuta allo stesso modo, felice o infelice che sia.

Anche il 14 luglio, in Francia, non ha lo stesso valore in ogni ambito e per ogni persona. Ma nessun francese ignora cosa accadde il 14 luglio del 1789. Il 4 luglio, negli USA, è festa molto sentita. Chi ne gioisce va dai radical democratici  ai sovranisti, con spirito opposto. Ma nessuno, negli Usa, dice che è una festa priva di significato.

La generazione italiana giovane non conoscerebbe il significato del 25 aprile. Tutta la gioventù? Una strana generalizzazione. Questo sarebbe un grande guaio, e non solo per il 25 aprile. La vera e drammatica questione è che la conoscenza della storia è merce rara, nel nostro paese. Nei piani bassi e nei piani alti.

Credo che De Rita dovrebbe preoccuparsi di un Paese che ha pochi parlamentari che conoscono la nostra storia, Costituzione compresa. E che il primo vulnus alla nostra Repubblica, sia stato, poco dopo il suo inizio, il mettere molta polvere sotto il tappeto.

Molti fascisti nel tempo -anche criminali- nei ministeri, nell’esercito, nella magistratura, nella scuola. L’armadio della vergogna docet. Non sono soltanto i giovani che conoscono poco la storia.

Pochi sanno che i nodi individuati dal Risorgimento democratico non sono stati sciolti. Neppure Giolitti lo ha fatto. Che la prima guerra mondiale ha sconvolto il mondo, e non solo l’Italia. Che il fascismo sembrò la risposta che, andando per le spicce, metteva ordine.

De Rita ridicolizza gli uomini del Comitato di Liberazione Nazionale che, a liberazione compiuta, sfilano in giacca e cravatta. Ma dietro di loro c’era tanta gioventù armata. Di questo non parla, De Rita.

Del resto, come dovevano sfilare, i rappresentanti del Cln con fucili spianati?  La nostra non fu solo una Resistenza di armi. Ci furono tante altre buone armi, se proprio vogliamo usare questa parola: quelle del pensiero, della politica, dell’etica civile, opposte a quella del regime. Claudio Pavone lo ha spiegato in modo magistrale. E anche molte storiche hanno spiegato il significato liberatorio della Resistenza delle donne antifasciste: una per tutte, Anna Rossi-Doria.

Gli uomini del Cnl, sfilando così vestiti, vollero significare che la gioventù antifascista armata aveva consentito loro di ritornare a una vita civile finalmente senza armi. In pace, con abiti in borghese, che non vuole dire abiti borghesi, come De Rita dovrebbe sapere. Gli uomini del Cln comprendevano bene il significato dei simboli, esperti di semiotica più di De Rita.

La nostra gioventù, quella che studia, quella civilmente impegnata, nel volontariato, nell’ambientalismo, per i diritti civili e sociali, non sa cosa significhi il 25 aprile? De Rita non conosce questa gioventù. E’ una gioventù innamorata della Resistenza, del 25 aprile, di Bella Ciao. La gioventù a cui mi riferisco non è tutta la gioventù. Forse sono in maggior numero gli indifferenti, non lo escludo.

C’è anche una gioventù fascista o neofascista? C’è, si vede, si sente. Non si nasconde. E’ rumorosa. E’ di numero superiore alla gioventù antifascista, impegnata quotidianamente per l’attuazione della Costituzione, molto più di quanto non facciano molti parlamentari?

Non credo. Ma sono modi di essere giovani su fronti opposti, non c’è retorica di necessaria riconciliazione che tenga.

Piero Calamandrei disse che la patria era stata uccisa dal fascismo e che l’antifascismo l’avrebbe fatta rinascere. Recentemente Maurizio Viroli ci ha ricordato una espressione di Norberto Bobbio, che sceglieva le parole con cura. L’antifascismo deve essere intransigente e sprezzante.

Sprezzante? Certo, perché privo di valore, da disprezzare. E, aggiungeva Viroli, noi antifascisti siamo in difficoltà, se pensiamo di dovere comprendere e perdonare. Comprendere nell’accezione della comprensione storica dei fatti, premesse, contesti, conseguenze? Certamente. Ma comprensivi come con un fanciullo che, per inesperienza, ha sbagliato? Sicuramente no. Perdonare? Impossibile. Altri totalitarismi hanno compiuto altri disastri? Non è l’alibi per perdonare.

Nessuna tragedia della storia va perdonata semplicemente perché il perdono non è una categoria della storia e della politica.

Con questi pensieri sono andata alla cerimonia del 25 aprile, ben sapendo che questa data e la nostra Costituzione vengono ancora poco onorati. Avrebbero meritato, e meritano, molto più, e di meglio, di quanto il popolo italiano e i suoi rappresentanti abbiano fatto sino ad oggi.

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