1 agosto 2018
Ho ricevuto la telefonata di una amica. Mi ha posto un problema che ha aperto in me un inquietante interrogativo. Mi ha detto. In questi anni ci sono arrivate spesso tue riflessioni, interrogativi, allarmi.
Ora sei silenziosa. Come mai? Va tutto bene? O hai perso la voce e l’uso delle mani, con le quali – penna o computer – si scrive?
In contemporanea, l’appello di Roberto Saviano. Uscite dal silenzio, fatevi sentire, altrimenti sarete parte della zona grigia. Come ci ha spiegato Primo Levi, che anche Marco Belpoliti citava, negli stessi termini, pochi giorni prima dell’appello di Saviano, commentando la tragica fotografia di Josefine, salvata miracolosamente dalle acque. Il grigio, il voltarsi dall’altra parte, il fare finta di niente, è brutto e pericoloso.
Ringrazio l’amica, che mette il sale sulla piaga. Le amicizie servono soprattutto a questo. E rivolgo a me le stesse sue domande. Alle quali rispondo, ma prima dico che, questa mattina, ho firmato una petizione, promossa da Articolo 21 e Progressi, in seguito alla aggressione a Saviano, rivolta al Primo Ministro Giuseppe Conte, che deve farsi garante, Costituzione alla mano, della piena libertà di pensiero, e di parola pubblica.
Vi invito a fare altrettanto, andando al sito https://www.fare.progressi.ord/petitions/difendiamola-liberta-di-espressione.
A pensarci bene, nel corso del tempo non siamo state e stati silenziosi. Per lo meno in modo intenso e pubblico, da Tangentopoli in avanti, non poch*, né indifferenti, né rassegnat*, hanno fatto sentire la loro voce. Sempre cercando di connettere la Costituzione scritta alla Costituzione materiale, che spesso andava in altre o opposte direzioni. Pericolosamente.
C’è stato, da parte della società civile nella quale mi colloco, che ha come metro la Costituzione da rispettare – non da sbandierare in modo intermittente -, grande sconcerto quando abbiamo visto che le forze politiche che più ci ispiravano fiducia, da quel dramma – Tangentopoli – non traevano i necessari insegnamenti. Lo abbiamo detto e scritto.
A seguire, con nessi causali evidenti, quando Berlusconi ha aggredito la magistratura, dal 2001 in avanti, abbiamo dato vita alla più forte, e prolungata nel tempo, stagione di mobilitazione popolare nazionale, i girotondi, che anche Guido Crainz, pochi giorni fa ricordava e – finalmente – non nei termini compassionevoli che non di rado ho sentito in questi anni. Poverini, che illusi, e presuntuosi. Pretendono di incidere nella politica, questi dilettanti. La società civile? Quando sento questa espressione, metto mano alla pistola. Disse un autorevole dirigente del partito nel quale allora mi collocavo, mentre facevo, ostinatamente, i girotondi. Ostinazione o illusione? Oggi dico illusione, quel cercare di essere ponte fra indignazione civile non antipolitica e una forza politica che, pensavo allora, non può non ascoltare la nostra civile e non silenziosa grande preoccupazione. Che non era “antipolitica”, ma intendeva dare ossigeno alla politica, vedendo che non bastavano né i partiti né le Istituzioni, né, tantomeno, rassegnazione o indignazione silenziosa. Ascoltateci, intergite, interpretateci, con sincera e seria volontà di interazione. Questo volevano i girotondi. Ci vorrà del tempo, ma accadrà. Pensavamo. Così non è stato. I girotondi sconfitti. E non per loro responsabilità, sembra suggerire Crainz. E loro, i politici di professione e non dilettanti, dotati di sordità e miopia, come sono finiti? Sconfitti anche loro, in tempi e modi diversi.
Nel 2006, abbiamo salvato la Costituzione. Salvata di nuovo nel 2016, quando fu aggredita dalla forza politica – un po’ mutata, forse – che invece, più formalmente che altro, aveva detto NO, con noi, nel 2006. E, a proposito di Istituzioni c’è chi, come Casaleggio, i cui studi non conosco, profetizza la fine del Parlamento. Non mi è chiaro cosa intenda. Constata il progressivo declinare del ruolo del Parlamento? Da anni il fenomeno – fatalità senza spiegazione? – è da noi “costituzionali” evidenziato e denunciato. Le controriforme del 2006 e del 2016 andavano in questa direzione. Non è un caso che un prezioso libro di Paul Ginsborg La democrazia che non c’è, sia uscito nel 2006. La democrazia non gode di buona salute – sosteneva Ginsborg – ma è un bene prezioso che va riossigenato con la partecipazione e l’interazione fra cittadinanza attiva e Istituzioni.
E cosa abbiamo pensato e detto, dopo il 4 dicembre 2016? Fermatevi a riflettere. Cercate di capire le ragioni dello scontento di chi non va più a votare alle elezioni politiche, ma va in gran numero ai referendum costituzionali. Lo abbiamo detto e ripetuto anche dopo il 4 marzo 2018, quando una significativa partecipazione al voto, in quella occasione, ha espresso un giudizio assai negativo sulle politiche degli ultimi anni. Il popolo ha parlato, ho sentito dire con una certa enfasi. E’ vero. Cosa ha voluto dire? Interrogatevi. Studiate. Se non siete anime morte. Quanti anni, quanto tempo perduti, mi viene da pensare.
Ma anche le nostre parole sono oggi in difficoltà. Fino a pochi mesi fa, abbiamo pensato che le nostre parole e azioni potessero avere qualche efficacia. Ora, ne dubito molto. Faccio parte di una generazione – ragazza come sono del secolo scorso – che alla parola, al metterci la faccia, al rischiare, ha dato valore. Spesso con eccessiva fiducia, sottovalutando contesti difficili. Ma non abbiamo voltato mai la faccia da un’altra parte, di fronte a ciò che ci sembrava ingiustizia.
Saviano ha ragione, nel chiederci di non gettare la spugna. Non la gettiamo, ma non abbiamo più non dico la volontà, ma l’energia che Saviano, giovane, ha. I tempi della vita, i corpi che cambiano. Non è acqua. Incide nel nostre vite, che cambiano con il cambiare del corpo. Saviano, e la gioventù che la pensa come lui, che affolla il mondo di Libera, e dei movimenti antirazzisti e antixenofobi, e il volontariato dai mille scopi, che ci hanno invitato ad indossare magliette rosse. Le abbiamo indossate. Il rosso, il colore del sangue e della vita. Mai visto sangue nero. Ora, nella mia città, ci sono movimenti neofascisti che vogliono rispondere alle magliette rosse con le magliette nere. Il nero, il colore della paura e del buio, da quando eravamo piccol*. Invito chi indossa la maglia nera a pungersi con uno spillo. Vedrà così quale è il colore del suo sangue.
Ora, carissimo Saviano, tocca a voi, alla tua generazione. Ricordo ancora il tuo splendido discorso al Palasharp. Era il 2011. Un indimenticabile incontro promosso da Libertà e Giustizia. Accorremmo. Una moltitudine, da tante diverse città italiane. Nessun dubbio, allora, che le manifestazioni servissero. Ricordo che parlasti della macchina del fango che stava colpendo anche te, e anche allora. Tecnica antica, immortale, pare, ma non tutti soccombono. Tu ne sei un ottimo esempio. Sempre in piedi.
Quindi, siate voi giovani, soprattutto, da questo momento in avanti, ad avviare campagne, denunce, a non scomparire in piccoli orti conclusi, o in recinti monotematici. C’è un mondo da ripensare, tutto intero. E non è più il mondo del secolo scorso. Non so quanto tempo ci vorrà, ma dovrà pur venire al mondo un movimento politico in grado di agire, in un mondo da pensare ex novo, ma con il metro che vale da millenni, la giustizia, e con il metro scoperto nella storia recente, l’uguaglianza. Verrà. O è una utopia? E’ una utopia, nel senso che per ora è un non luogo. O, meglio, un luogo che non c’è. Ma che, in futuro, potrebbe esserci.
Infatti, in questi ultimi giorni ho compreso del tutto – ma ci pensavo da tempo – che il presente non ha nulla a che fare con il presente della mia gioventù.
Alcuni eventi sono stati determinanti.
Nel mondo. Il feeling fra Trump e Putin. Una nuova internazionale si aggira per il mondo. L’internazionale delle parole grossolane e gridate – Trump, una discontinuità potente, pare, che sta cambiando il mondo -, dagli Usa all’Urss, passando attraverso non pochi paesi europei, Italia in testa, ma dopo l’Ungheria, e la Polonia. Unico dato positivo. C’è chiarezza. E’ una internazionale spietata, che non nasconde la sua spietatezza. Esito inevitabile delle Twin Towers abbattute? Terrorismo diffuso. Colpa dei musulmani, o della guerra all’Iraq, o dello scandalo della eterna e quotidiana offesa al popolo palestinese? O del dissolversi, a suo tempo, della speranza comunista, svaporata, non lentamente, fino al Muro di Berlino? E la Cina? E’ comunista? E’ capitalista? Un bell’inedito, a proposito di storia.
In Italia. Mentre Saviano viene aggredito e querelato da chi dovrebbe difenderlo, il ministro degli Interni Salvini, un anniversario ricorda la fine di Raul Gardini. Tema sempre vivo nella mia città. E, quasi negli stessi giorni, il precipitare della salute di Sergio Marchionne e la sua morte. Temi delicati, non è facile riflettere su circostanze che riguardano persone che escono dal mondo per sempre. Ma sono stata colpita da parole lette, dette o avvertite. Gardini e Marchionne, due grandi italiani. Come Cavour, Garibaldi, Mazzini, Gobetti, Gramsci, Calamandrei, ci metto anche De Gasperi, Aldo Moro, Pertini, Berlinguer, Nilde Iotti, Rita Levi Montalcini, Margherita Hack? Ricordo solo chi non è più. Ci metto anche Scalfaro che, a chi tentava di diffamarlo, a reti unificate disse “Non ci sto!”. Ma ora non può più parlare e nuovi tentativi di diffamazione sono in corso. Penso che, di fronte alla morte, ci vorrebbe garbo e misura. Ma grandi folle in piazza, spettacoli, pagine in numero straordinariamente alto in quasi tutti i quotidiani, a commento della fine di questi grandi italiani, sono azioni misurate?
Gardini e Marchionne, grandi italiani? Per Gardini, un po’ di tempo è passato. Ci sono addirittura dubbi sulla sua morte. L’ha voluta lui o l’hanno voluta altri, come pensano amici e familiari? Aspettiamo che la storia faccia chiarezza. Che amici e parenti continuino a rimpiangerlo, capisco e mi commuove pensarlo. Ma grandi eventi in piazza del Popolo, con cittadinanza ravennate accorsa in numero straordinariamente alto? Commemorazioni “festose” e musicali? Non capisco, e questo accade a chi fatica a orientarsi nel proprio presente. Come i mazziniani e i garibaldini dopo l’Unità d’Italia. Come i partigiani guardati con disprezzo poco dopo la Liberazione. Facevano fatica ad orientarsi.
Marchionne è stato definito il Ford del nostro tempo. Questa affermazione la capisco meglio. Probabilmente è così. Un interrogativo. Ha prodotto egemonia, o ha interpretato con intelligenza, tempismo ed efficacia uno spirito dei tempi molto galoppante e privo – o quasi – di ostacoli? Espressione, quindi, di una egemonia più sociale che culturale? Che, forse, sta diventando anche culturale, in assenza di pensieri diversi e diffusi? Dopo Ford c’è sta la prima guerra mondiale, la crisi del 1929, i totalitarismi, la seconda guerra mondiale. A chi è giovato il fordismo? A chi sono giovate, e giovano, le innovazioni industriali incarnate da Marchionne? So la risposta. Ha salvato posti di lavoro, ne ha creati altri. Come interloquire? Sono digiuna di economia. So solo che un ricorso alla Corte Costituzionale contro comportamenti antisindacali decisi da Marchionne è stato vinto. Con un argomento a mio avviso fondamentale. La democrazia costituzionale non si arresta al cancello delle fabbriche. Vige – dovrebbe – anche dentro. Illusioni del secolo scorso?
In Italia. Grande italiano Gianni Agnelli o Adriano Olivetti? Entrambi? Vedremo cosa dirà la storia. Il mio sguardo di ragazza del secolo scorso sceglie Olivetti. Uno strano industriale. Fu il primo a pubblicare, in Italia, scritti di Simone Weil, anche lei una strana filosofa. Platonica, ma volle mettere alla prova il suo corpo facendo l’operaia. Cosa le insegnò il suo corpo facendo la fatica operaia? Che ritmi e fatiche bestiali ci sottraevano il bene più prezioso. Il pensiero. Simone Weil in fabbrica e Chaplin, in Tempi moderni. Una critica senza appello ed eterna al fordismo. E oggi? Fra lavoro di corsa, o rincorsa del lavoro, o rincorsa del divertissement – ridere per dimenticare, consumare per vivere, social adiuvanti – solo una minoranza, fortunatamente trasversale a generi, generazioni e ceti sociali, è veramente pensante.
Gardini. Marchionne. Due eroi nazionali. Per tornare a piazze entusiaste, in questi giorni ho ripensato a una occasione mancata, che mi fece soffrire e sentire marziana e alienata nella mia città natale. Nella primavera del 1992, il Moro di Venezia, magnifica barca di Raul Gardini, vinse una importante competizione internazionale. A Ravenna, faville. Una enorme festa di popolo in piazza del Popolo. Poche settimane dopo, la barbarie mafiosa distrusse la vita di Falcone, Morvillo e la scorta. Falcone, eroe sicuramente nazionale. Alla scadenza del primo mese dall’attentato, telefonai al sindaco di allora, Mauro Dragoni. Suggerii di allestire un grande schermo in piazza, per onorare la figura di Falcone, come segno di nostra civile gratitudine. Il sindaco fu d’accordo. La piazza fu preparata, l’informazione data alla stampa. In quante persone ci ritrovammo? Poche decine. Possibile? Così fu. Ravenna, città medaglia d’oro della Resistenza. Quale Resistenza? Di un passato tanto lontano da non essere più “propulsivo”. Essere creatura marziana nella propria città, allora, e nel mondo grande, oggi. Così mi sentivo e così mi sento.
Quindi, carissimo Saviano, e voi giovani che ostinatamente studiate, scrivete, provocate, sono – non da sola – con te. Aiutateci voi a comprendere un mondo oscuro, perché i nostri strumenti interpretativi sono insufficienti. Su di un terreno comunque ci troviamo insieme. E continueremo ad esserci. Non basta la memoria, ci vuole la conoscenza della storia, passata e presente, e il suo quotidiano studio. Non ci dà indicazioni immediate di azione, ma, senza di lei, pensieri, strumenti e azioni non si troveranno. Inoltre, è urgente la ricerca in un altro modo di comunicare. Il confronto, la conversazione, il dialogo, il conflitto dialogato e argomentato. Sono estinti per sempre? Eppure, le idee più forti – anche in politica – della modernità, sono state partorite nei salotti di conversazione, una anteprima preziosa di lumi in arrivo. Inventati, i salotti, da donne colte, e vissuti da donne e uomini con conversazioni che non finivano mai. Partorirono – ci volle molto tempo – le idee di uguaglianza e di fraternità. La Bibbia, i Vangeli, il Corano non erano bastati.
Ravenna, 30 luglio 2018
(*) L’autrice fa parte del Circolo Leg di Ravenna.