Che fine fa il centro in una situazione densamente populista? L’esito delle elezioni spagnole conferma quel che da anni ci viene proposto dall’America latina, oggi il subcontinente più estremo ma anche esemplare per aiutarci ad analizzare le trasformazioni in corso nella democrazia.
Questa l’analisi: l’affermarsi dello stile e dei contenuti populisti prosciuga la politica mediana e accende quella radicale. Il populismo genera populismo per la semplice ragione che al leader del plebiscito dell’ audience è arduo opporsi con metodi deliberativi, discorsivi e ragionati (al quale la sinistra è più propensa).
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Questo è un fatto dal quale partire per reagire al fatto del comprendere il collasso del centro, che oggettivamente non riesce a indossare i panni della polarizzazione senza lasciare la postazione centrista. Proviene di qui un’ ulteriore indicazione, molto pertinente per il nostro Paese (e, magari, pensando alle prossime consultazioni in Emilia-Romagna). La destra vince quando e se si radicalizza: il terremoto spagnolo sta nel tracollo di Ciudadanos e nel balzo spettacolare dell’ ultradestra di Vox (da 24 a 52 seggi).
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La sinistra va divisa e si sparpaglia: Podemos cala e un po’ dei suoi voti vanno al nuovo partito nato da una sua costola (Corte Más País di Iñigo Errejón, l’ anti-Iglesias), e calano di un po’ anche i socialisti.
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E qui viene la lezione: mentre la destra vince se si radicalizza, la sinistra quando prova questa mossa perde (Podemos ha invano cercato di inventare un populismo di sinistra). Il paradosso (che i populisti di sinistra rifiutano di vedere) è questo: in un tempo di liquefazione del centro, la strategia olistica riesce bene alla destra (tradizionalmente gregaria e amante di capi solitari e comandanti) ma non alla sinistra, che nonostante tutto resta non facilmente permeabile alla logica populista.
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Dunque, che fare? Benché il tempo dell’alchimia e della ricerca della pietra filosofale sia irrimediabilmente tramontato, una qualche luce viene da queste esperienze. In particolare alla sinistra resta una strada soltanto: quella della larga coalizione, dell’ alleanza elettorale, senza coltivare l’ambizione di creare una “casa comune”, troppo impegnativa sul piano degli ideali, che tendono facilmente a suggerire differenzazioni e distinguo.
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E vediamo perché. La strada della larga coalizione ha due cigli entro i quali gli elettori possono trovare la loro corsia di scorrimento: quello che sta accostato alla parte destra nel nome delle libertà civili e individuali, e quello che sta accostato alla parte sinistra nel nome dell’attenzione all’eguaglianza. Norberto Bobbio, con la sua distinzione tra destra e sinistra intorno alla coppia libertà/eguaglianza, è il latore di un messaggio che parla per questa larga coalizione. Poiché la destra alla quale pensava quando la distingueva dalla sinistra, non è quella radicale xenofoba e nazionalista che ha successo oggi, ma quella neoliberale, ovvero classicamente non socialista. Bobbio aveva in mente il liberal-socialismo quando proponeva il dialogo tra queste due parti.
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Ebbene, per rispondere a una destra che non è amica né della libertà o dei diritti individuali né dell’ eguaglianza come condizione di dignità e rispetto, la strada maestra sembra essere quella che avevano indicato alcuni visionari liberal-socialisti nel tentativo di reagire alle macerie del nazionalismo xenofobo del ventennio fascista. Il tramonto dei partiti ideologici antichi non può essere rimpiazzato da una sinistra populista, che come abbiamo visto in Spagna (ma anche altrove) non regge all’urto della retorica esclusionaria e nazional-identitaria.
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Soltanto il compromesso tra le due aspirazioni più compiutamente democratiche – libertà ed eguaglianza – può forse aiutarci a battere la strategia propagandista di destra. Rileggere Bobbio in questa luce aiuta.
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la Repubblica, 15 novembre 2019