Le elezioni umbre sono e non sono un giudizio sulla maggioranza 5S-Pd. Sono prima di tutto il riflesso di mezzo secolo di governo monocolore in quella regione. Un governo che ha fatto molte cose buone, ma è miseramente finito con la nota storia di abuso d’ufficio della sanità e la fine miserevole della Presidente, Catiuscia Marini, già dirigente Lega Coop, poi sindaca di Todi e parlamentare europea – una carriera lunga, simbolo di un partito che si è logorato anche per aver tenuto il potere ininterrottamente per troppo tempo. La regola dell’alternanza che distingue il sistema democratico ha lo scopo di impedire il consolidamento di classi di potere, e quindi corruzione. Dopodiché, il modo in cui il Pd ha costruito un’alternativa a se stesso non è stato saggio, anzi è stato catastrofico. Prima di tutto perché doveva evitare un’unione stretta con i 5stelle: correre soli come alleati sarebbe stato più lungimirante. Alcune delle ragioni di questo errore ci sono state spiegate da Gianfranco Pasquino su Huffington.
Ma è certo che quella unione elettorale deve essere apparsa a molti cittadini umbri come un segno insopportabile di furberia: due partiti che partono in forte svantaggio si danno una mano a vicenda sperando di impressionare gli elettori con il peso della loro funzione governativa. In un tempo di populismo dell’anti-establishment Pd-5stelle hanno usato la strategia più establishment che avevano a loro disposizione. E poi: quell’unione elettorale ha dato la netta impressione che i due partiti avessero molta paura. E’ stata un’alleanza da trincea difensiva, un segnale da solo di debolezza. Ed è finita con una prevedibile Caporetto. E’ sperabile che questo errore non venga ripetuto in Emilia-Romagna.
Le elezioni umbre sono state anche il riflesso dell’opinione sul governo. Forse non un giudizio diretto sul governo, ma un riflesso di quel che succede a Palazzo Chigi. E il governo, fin dal momento della sua nascita, aveva un carattere molto ben definito: essere costretto ad essere un buon governo. Solo questo poteva e potrebbe sconfessare la destra. Certo, bisogna mettere in conto che la destra populista usa la propaganda come un lanciafiamme, e che la propaganda da che mondo è mondo non è costruita sui fatti, ma sulle paure sobillate. Difficile vincere contro il nulla astioso. Ma dare al paese l’immagine di una compagine volitiva, impegnata e capace di fare cose buone, dare piccoli segnali di forza dirigente e direttiva: questo il governo doveva farlo da subito. E deve farlo ora, a tutti i costi.
Tutto qui? No. Vi è dell’altro. Vi è un tema del quale si deve pur parlare franco: il ruolo dei media. Molti di coloro che sono atterriti da una Meloni a due cifre sono stati assai impietosi contro il gracile governo. Che, per carità, è stato poco saggio a non sfruttare al meglio l’opportunità di tenere la destra al tappeto. Eppure vi è anche nei media quel desiderio di sangue che la propaganda populista ha in questi anni alimentato.
Sacrosanto e giusto, anzi necessario, criticare comportamenti e decisioni, o non decisioni (perché il governo non ritira i vergognosi decreti Salvini?), ma infiocinare la maggioranza giallo-rossa con lo stesso stile di chi fa opposizione politica, è un segno di poca responsabilità (e saggezza). Aiuta chi aspira ad approfittare delle sorti del governo, trattato come un moribondo che deve essere tenuto in vita per fare ingrassare gli avversari: quelli diretti o nemici giurati (Salvini vuole l’Emilia-Romagna) e quelli indiretti o potenziale beneficiari (Renzi aspira ad essere lui unico avversario di Salvini). Il gioco va ben al di là dell’Umbria, dunque. E sarebbe urgente che gli alleati di governo non lo capissero soltanto, ma che agissero di conseguenza.
Huffington Post, 29 ottobre 2019