Il Presidente del Consiglio Conte tutelerà i diritti di cittadinanza dei meridionali messi in pericolo dall’autonomia differenziata? Oppure, come nel 2001, il PD (allora Ulivo) allargherà il divario Nord-Sud per rincorrere la Lega con la riforma del Titolo Quinto della Costituzione? Conte, nel discorso al Quirinale come Presidente del Consiglio incaricato, ha promesso un Governo contro le disuguaglianze territoriali, un Governo che ridia centralità al Mezzogiorno. Ecco la prima disuguaglianza che Conte dovrebbe colmare: ogni anno lo Stato, nelle sue varie articolazioni, spende per un cittadino del Centro-Nord 17.065 Euro; nel contempo per un cittadino meridionale spende 13.394 Euro: 3671 Euro di differenza. Come vedremo avanti, se la spesa pubblica per un meridionale fosse pari alla spesa pubblica per un settentrionale, lo Stato ogni anno dovrebbe spendere in più nel Mezzogiorno 76 miliardi di Euro. Per essere coerente, Conte, per rimuovere le disuguaglianze territoriali, dovrebbe rovesciare la ripartizione del bilancio dello Stato e spendere in più al Sud i suddetti 76 miliardi ogni anno. Al contrario, poiché PD e Lega, sull’autonomia differenziata, hanno un’idea simile, vogliono trattenere le tasse e i contributi del Nord nelle regioni del Nord. E così si allargherà la suddetta differenza di 3671 Euro di spesa pubblica pro-abitante e si aggraverà il divario Nord-Sud. Vediamo concretamente con uno sguardo agli ultimi trenta anni.
76 MLD DI SPESA PUBBLICA IN PIU’ AL SUD SE I DIRITTI DEI MERIDIONALI FOSSERO PARI A QUELLI DEI SETTENTRIONALI
La riforma del Titolo Quinto della Costituzione dette copertura costituzionale al ‘Federalismo a Costituzione invariata’ della legge Bassanini (l. 59/1997). Negli anni novanta, finito l’intervento straordinario nel Sud, chiusa la Cassa per il Mezzogiorno, finita la prima repubblica, il Nord (e la sua Confindustria) non voleva più crescere assieme al Sud e scelse definitivamente di diventare sub-committente del capitalismo tedesco. La Lega chiedeva la secessione, l’Ulivo inseguì la Lega per non perdere voti. Oggi, se nessuno si oppone al regionalismo differenziato, quel processo iniziato negli anni novanta avrà il suo epilogo: il PD del Nord, guidato dal Presidente emiliano Bonaccini, implementerà i tre accordi sull’autonomia firmati tra il Governo Gentiloni il 28 febbraio 2018 e la “leghista” Lombardia, il “leghista” Veneto e la “democratica” Emilia Romagna. L’esito della riforma del Titolo Quinto è nei numeri in tabella 1 elaborata dalla Svimez sui dati dei Conti Pubblici Territoriali nella Nota dal Titolo “Regionalismo differenziato e diritti di cittadinanza in un Paese diviso” del 9 aprile 2019. Al netto degli interessi, in termini di spesa pubblica annua pro-capite del Settore Pubblico Allargato, oggi un cittadino del Centro-Nord riceve 17.065 Euro (dall’alto la prima linea verde) mentre il cittadino meridionale riceve 13.394 Euro (dall’alto la seconda linea verde). La differenza è 3671 Euro. Che significa? Che se i diritti di cittadinanza dei meridionali valessero quanto i diritti di cittadinanza dei settentrionali, lo Stato, nelle sue varie articolazioni, spenderebbe nel Mezzogiorno quasi 76 miliardi in più ogni anno per i suoi 20,697 milioni di abitanti. Si arriva a 76 miliardi moltiplicando il numero degli abitanti meridionali per la suddetta differenza tra la spesa pubblica pro abitante nel Sud e quella nel Centronord (20.697.000 * 3671 Euro= 75.978.687.000 Euro). Magari, con una spesa pubblica pro-capite annua per il Sud pari a quella per il Nord, forse gli ospedali meridionali sarebbero efficienti come quelli lombardi, veneti o emiliani. E i meridionali non sarebbero costretti a fare i turisti della sanità.
TUTTI I PARTITI VOGLIONO L’AUTONOMIA PERCHE’ VINCOLO ESTERNO UE CAUSA SECESSIONE DEL RICCO NORD
Il M5S vuole completare il processo di autonomia richiesta dalle regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna: il vicepremier Luigi di Maio lo ha esplicitato nel sesto dei 20 punti su cui sta trattando la formazione del nuovo Governo con il Segretario del PD Nicola Zingaretti. Malgrado in tale sesto punto si precisi di istituire “contemporaneamente i livelli essenziali di prestazione per tutte le altre regioni per garantire a tutti i cittadini gli stessi livelli di qualità dei servizi” ciò non deve rassicurare i cittadini meridionali per due ragioni: 1) tutti i processi di federalismo hanno solamente aggravato il divario Nord-Sud in termini di spesa pubblica annua pro-capite; 2) il regionalismo differenziato aggraverebbe ulteriormente questo divario; osserviamo la tabella due i cui dati sono estratti dal saggio di Adriano Giannola e Gaetano Stornaiuolo dal titolo Un’analisi delle proposte avanzate sul “federalismo differenziato” pubblicato sul numero 1-2 del 2018 della Rivista economica del Mezzogiorno: su 751 miliardi di bilancio annuale dello Stato, ne verrebbero a mancare 190 miliardi, qualora passasse la proposta estrema del Governatore veneto Zaia di trattenere il 90% delle tasse e dei tributi delle regioni a Statuto Ordinario nei loro rispettivi territori: quei 190 miliardi uscirebbero dal bilancio dello Stato nazionale ed entrerebbero nel bilancio di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Concretamente cosa significa? Che il suddetto divario di 3671 Euro tra la spesa pubblica pro-capite annua del Centro-Nord e quella del Sud si aggraverebbe ulteriormente. Significherebbe ridurre ulteriormente la presenza della sanità, della scuola e dell’università pubblica nel Mezzogiorno. E significherebbe impedire qualunque serio investimento su porti, strade e ferrovie meridionali per renderle equivalenti a quelle settentrionali. Ma come si arriva a questa situazione? Il vincolo esterno della UE, e le conseguenti politiche di austerità, hanno allargato il divario Nord-Sud. Nella prima Repubblica, la Cassa per il Mezzogiorno, malgrado abbia avuto una gestione virtuosa solo nella prima metà della sua vita amministrativa, ha garantito una diminuzione del divario Nord-Sud. La Cassa per il Mezzogiorno venne soppressa nel 1984, fu sostituita nel 1986 dall’AgenSud che fu sua volta soppressa nel 1992. E qui il primo problema: di fronte ai casi di corruzione e sprechi della Cassa per il Mezzogiorno negli ultimi suoi venti anni di vita, il Governo nazionale avrebbe dovuto reagire con interventi nel meridione basati su vero sviluppo e legalità. Al contrario la soluzione fu la fine dell’intervento straordinario. Attenzione alle date! Nel 1992 entra in vigore il Trattato di Maastricht, nel 1997 il Ministro delle Finanze tedesco Weigel inventa il Patto di Stabilità, nel 1999 l’Euro entra in vigore, nel 2002 l’Euro entra in circolo, nel 2011-2012 i paesi UE sottoscrivono il Fiscal Compact e l’intero pacchetto normativo che irrigidisce il Patto di Stabilità. Vediamo cosa accade in Italia durante la costruzione della UE.
VINCOLO ESTERNO UE PRODUCE VINCOLO INTERNO: DECRETO 56/2000 E RIFORMA DEL TITOLO QUINTO.
La fine della sovranità monetaria e la contrazione della spesa pubblica già dagli anni novanta anticipano “la secessione dei ricchi” per citare Gianfranco Viesti. Poiché si contraggono il potere di intervento dello Stato e la spesa pubblica, il ricco Nord vuole trattenere le tasse e i suoi tributi nel Nord tradendo lo spirito della Costituzione. Lo ha spiegato bene il Professor Sergio Marotta nel saggio dal titolo “Regionalismo differenziato: cos’è e quali rischi comporta”. Franco Bassanini, Ministro della Funzione Pubblica nei Governi Prodi-D’Alema-Amato (1996-2001), iniziò il processo con la legge 59 del 1997 che avrebbe dovuto realizzare il federalismo a Costituzione invariata. La narrazione dominante ubriacava l’opinione pubblica con la parola magica della sussidiarietà: essa avrebbe realizzato un’azione amministrativa più efficiente. Nella sostanza, il Governo allargava il divario Nord-Sud nella ripartizione della spesa pubblica; i Governi dell’Ulivo elaborarono i nuovi criteri di riparto dei fondi per la sanità, criteri riassunti nel decreto legislativo 56 del 2000: formalmente resisteva il servizio sanitario nazionale, sostanzialmente i fondi per la sanità (mediamente il 70% dei bilanci regionali) venivano ripartiti con una distribuzione differenziata, favorendo le già ricche Regioni settentrionali e danneggiando le già povere regioni meridionali. Lo ammette anche il Professor Piero Giarda nel volume “L’esperienza italiana di federalismo fiscale. Una rivisitazione del decreto legislativo 56/2000”. Lì Piero Giarda si chiede perché un governo e una maggioranza di centrosinistra sarebbero stati «così malvagiamente antipoveri». Attenzione! Piero Giarda non è un bolscevico ma il Sottosegretario al Tesoro nei suddetti Governi Prodi-D’Alema-Amato. Ultimo strumento di allargamento del divario Nord-Sud fu la legge costituzionale n. 3 del 2001. Per inseguire l’elettorato leghista e per soddisfare le richieste della Confindustria del Nord il nuovo articolo 119 cancellava ogni riferimento al Mezzogiorno e introduceva il pericoloso principio secondo cui gli enti locali compartecipano al gettito dei tributi erariali «riferibile al loro territorio». La suddetta compartecipazione al gettito dei tributi erariali da parte degli enti locali è il germe della “secessione dei ricchi” voluta oggi Luigi Zaia (Lega), da Attilio Fontana (Lega) e da Stefano Bonaccini (PD).
Huffpost, 1 settembre 2019