In un recente libro Tomaso Montanari ricorda le parole di Antonio Gramsci quando afferma quanto sia importante per una comunità avere assicurati “il teatro, le biblioteche, i musei di vario genere, le pinacoteche, i giardini zoologici, gli orti botanici, ecc.”.
Follonica nel suo sviluppo recente ha fatto un notevole sforzo per divenire una città dotandosi anche di questi servizi. Il progetto di Parco Centrale aveva, tutto sommato, il compito di dare un rango superiore a questa nascente esperienza urbana chiamata Follonica e far crescere i propri cittadini in spazi di una certa qualità.
Effettivamente oggi la città è dotata di una biblioteca fra le più importanti della Maremma, di un museo del ferro di qualità (struttura che può competere con altre esperienze europee), una sala per esposizioni dei prodotti del territorio di un fascino speciale, di un teatro che svolge un ruolo fondamentale nell’apertura della città al mondo, di un’arena che può ospitare eventi di grande rilevanza.
A parte alcuni errori progettuali (un parco che sembrando un parcheggio è poco utilizzato e attiva continuamente polemiche sui propri divieti) il passo avanti compiuto dalla città è senz’altro degno di nota. Poche altre città di medie dimensioni toscane (se non italiane) sono riuscite a portare a termine un così vasto processo di rinnovamento urbano.
Questo processo si è però affievolito. Ormai da anni non si assiste più a nessun apporto innovativo in quanto a realizzazioni, ma nemmeno si assiste a nessuna attività pubblica, almeno comunicata, di nuova progettazione, se si esclude la proposta di realizzazione di un giardino che è passata come una meteora senza lasciare nemmeno una scia. Eppure il lavoro da fare non appare assolutamente concluso, anzi.
Sul piano del recupero e del mantenimento del patrimonio dei nostri edifici storici presenti del cuore storico della città non si è intrapresa alcuna attività di recupero ulteriore. Nel frattempo, però, uno dei più importanti edifici storici ed identitari della città (la Torre dell’Orologio) sta ormai crollando nell’incuria.
E’ da tempo che una sua parte è priva di tetto, ma nessuno si è attivato per dotare l’edificio di una nuova copertura, impedendo così la sua riduzione in rovina. In compenso uno dei fabbricati più significativi dal punto di vista architettonico (con forme squisitamente industriali), cioè la Centralina Termo-idroelettrica, consumata qualche tempo fa da un incendio, sta per essere rasa al suolo da piante infestanti. E l’elenco potrebbe andare avanti.
Piuttosto ci sono pezzi del nostro centro città che hanno necessità di una loro ridefinizione. Dopo anni dall’inaugurazione non è possibile che, per esempio, per raggiungere uno dei teatri più belli della costa tirrenica toscana, si debba guadare un pantano e passare attraverso una parte della città (quella che prospetta su via Roma) fra le più degradate.
Non è questione di abborracciare delle opere basta sia, si tratta di dare senso ad uno degli spazi urbani più significativi e non si può aspettare ulteriormente. In un recente Consiglio Comunale si è discusso di aprire un varco fra l’area Ilva e l’area mercatale in modo da dare consistenza all’idea di connessione interna di quel progetto che fu il Parco Centrale.
Che tale connessione doveva essere realizzata ormai da tempo ce lo ricorda un ponte che, oggi quasi inutilizzato, è messo proprio in asse con lo spazio antistante al teatro e alla Leopolda. Pensare alla sistemazione di questa bellissima piazza è sicuramente prioritario, piuttosto che non arricchire l’area di oggetti di un’arte accessoria che si manifesta e che poi -chissà perché- misteriosamente sparisce.
Si intenda, lo spazio antistante il teatro è solo uno degli spazi nobili della città. La vera scommessa sarà il recupero del grande spiazzo davanti alla Chiesa, dove prospetta la chiesa stessa, la biblioteca, il museo del ferro, il teatro, la grande sala espositiva e forse anche il palazzo municipale.
La rifondazione di una grande agorà, ossia la piazza centrale, dove si può svolgere la vita politica e commerciale della città, deve essere il grande obiettivo dell’Amministrazione e della comunità tutta. Se l’amministrazione non riesce più a sentire il bisogno della fondazione dello spazio fisico in cui la comunità si riconosce e cresce, allora forse è necessario che i cives (i cittadini e il loro sentire una volta organizzato, per esempio, nel Comitato Ex-Ilva) riflettano e si esprimano con più chiarezza sui processi che desiderano si avverino nella propria città. Fra questi c’è sicuramente la realizzazione di uno spazio pulito e ricco che inorgoglisca chi là vive e che permetta ad una città, caratterizzata anche dall’accoglienza, di mostrare di sé aspetti che gli ospiti non possono che apprezzare.
Il processo di riappropriazione della centro della città che si è prodotto da qualche anno non può essere bloccato: ci aspettiamo che la progettazione e il recupero proseguano con l’intensità necessaria, vista l’urgenza di impedire la perdita di patrimonio, favorendo invece la sua immediata valorizzazione.
(*) L’autore dell’articolo è docente di Urbanistica all’Università di Firenze,Dipartimento di Architettura (Dida) e socio di LeG, Circolo della Maremma Grossetana.
Da questo intervento è stato tratto un articolo apparso sul Tirreno il 16 maggio scorso. Le foto dell’area di cui parla il testo è quella dell’ex Ilva, di fatto il centro storico della città. Qui sorgeva un impianto siderurgico, la cui origine risale agli Etruschi, che venne poi riorganizzato durante varie epoche, specie dal 1500 al 1800.