“La democrazia deve essere il regime della verità, nel senso della piena possibilità della conoscenza dei fatti da parte di tutti” (da “Il diritto di avere diritti” di Stefano Rodotà – Laterza, 2012 – pag. 224) La libertà, avverte un celebre aforisma, si apprezza quando si perde. Ma allora, in genere, è troppo tardi per difenderla e riconquistarla.
E così è anche per la libertà di stampa, ma al giorno d’ oggi forse sarebbe meglio dire libertà d’ informazione: cioè diritto dei cittadini a essere informati in modo completo e corretto, più che diritto dei giornalisti, blogger o citizen journalist di informare (o disinformare) gli altri.
Nell’era delle fake news e della post-verità, il giudizio dell’ ultimo Rapporto 2018 di Reporters sans frontieres che colloca l’ Italia al 46° posto nella classifica mondiale sulla libertà di stampa lancia un allarme su cui converrà riflettere. È vero che, rispetto alla graduatoria dell’ anno scorso, il nostro Paese migliora e guadagna sei posizioni. Ma resta pur sempre staccato dai maggiori partner europei.
C’è tuttavia un nuovo dato politico che emerge da questa ricerca internazionale.
E deriva dal fatto che, come si legge testualmente, “numerosi addetti dell’ informazione sono sempre più preoccupati a causa della recente vittoria alle elezioni legislative di un partito, il Movimento 5 Stelle, che spesso ha condannato la stampa per il suo lavoro e che non esista a comunicare pubblicamente l’ identità dei giornalisti che lo disturbano”. O che vengono addirittura respinti dalle riunioni o assemblee dei pentastellati, aggiungiamo qui, com’è accaduto recentemente al collega Jacopo Iacoboni della Stampa di Torino.
Lungi da noi la tentazione di fare una difesa d’ ufficio della categoria. Da quando i giornalisti si sono lasciati omologare all’ establishment o alla cosiddetta casta, la professione è andata via via perdendo autonomia, indipendenza, autorevolezza e credibilità. Colpa, in primo luogo, degli editori e dei loro top manager che hanno progressivamente ceduto il passo a interessi estranei, di natura economica, finanziaria o industriale. Prova ne sia l’infausta maxi-fusione denominata “Stampubblica” che provoca ora l’avvicendamento al vertice editoriale tra Monica Mondardini e Laura Cioli, sancendo definitivamente il passaggio dell’ex Gruppo L’ Espresso sotto l’egida della Fiat.
Ma la situazione precaria della libertà di stampa in Italia è anche colpa dei CinqueStelle, come sostiene il Rapporto 2018 di Repoters sans frontieres? Vale a dire delle incognite e delle preoccupazioni suscitate dal loro atteggiamento, spesso pregiudiziale, discriminatorio e intollerante, nei confronti dei giornalisti? O meglio, del reiterato tentativo di delegittimare un’intera categoria (o quasi) agli occhi dell’ opinione pubblica?
Chi ricorda quando, ancora fino a poco tempo fa, i rappresentanti del Movimento si rifiutavano di andare in televisione o di farsi intervistare; insultavano in blocco i “servi e pennivendoli” o addirittura arringavano le folle contro i giornalisti (Alessandro Di Battista), al limite dell’ istigazione a delinquere, sarebbe incline a ritenere che questa campagna denigratoria può aver contribuito in effetti a screditare ulteriormente la professione.
La fine della libertà comincia dalla libertà di stampa. E a parte il fronte del conflitto d’ interessi su cui militiamo in prima linea da sempre, bisogna riconoscere che le ultime esternazioni del candidato-premier Luigi Di Maio su Mediaset e sulla Rai rischiano di apparire equivoche e intimidatorie.
Il Fatto Quotidiano, 28 aprile 2018