Da qualche giorno sembra che Repubblica sia particolarmente preoccupata di cosa sarà del Pd dopo il ridimensionamento elettorale del 4 marzo. Lo è certamente il suo direttore, Mario Calabresi, che accusa il Partito Democratico di non volersi confrontare con le forze politiche che hanno vinto le elezioni perché privo di una ‘credibile proposta politica ‘.
Ma lo è anche il suo fondatore, Eugenio Scalfari, che – scambiando il risultato elettorale per una ‘verità storica’ – scrive nel suo editoriale domenicale che “la sinistra è rappresentata solo dai Cinque Stelle” e che lo scenario più probabile – per evitare che si debba ricorrere a nuove elezioni – è che il Presidente Mattarella convinca alla fine il recalcitrante Pd (che nella lettura scalfariana rappresenterebbe ormai una forza di ‘centro’) ad allearsi con il M5S per assicurare all’Italia un nuovo, anche se inedito, governo di centro-sinistra.
Mi permetto di osservare (da militante di una forza politica a sinistra del Pd, altrettanto umiliata dal voto del 4 marzo) che questa ‘ansia’ per le sorti del Partito Democratico non sembra tener conto che l’elettorato ha premiato dei movimenti anti- ideologici e anti-partitici con i quali un partito come il Pd non è politicamente saggio – per la contradizion che nol consente – che dialoghi o, addirittura, si allei.
Spero – a questo proposito – che agli attenti lettori di Repubblica non sia sfuggito il recente articolo di Michele Ainis – dal significativo titolo “Questa non è democrazia” – sul doppio paradosso della democrazia elettronica: “perché dispensa libertà pubbliche e controlli privati” (una schizofrenia tecnologica come la definiva Stefano Rodotà ) e perché le libertà non hanno contrappesi, evocando perciò l’ammonimento di Platone: “Dalla somma libertà viene la schiavitù maggiore e più feroce”.
“Sta di fatto – prosegue Ainis – che la tecnologia – proprio per la sua semplicità e intuitività – esprime una vocazione autoritaria, non libertaria. (…) La democrazia non è mai stata così fragile come da quando siamo connessi con un clic. (…) e non è vero che Internet consenta la massima partecipazione democratica nella selezione (ed eventualmente nella revoca) dei rappresentanti popolari. O meglio, consente la partecipazione, ma talvolta a scapito della democrazia. Giacchè quest’ultima si nutre di procedure, di garanzie formali che mancano del tutto quando l’agorà si trasforma in tribunale, come le plebi radunate al Colosseo rispetto al gladiatore sconfitto. Tocqueville paventava la dittatura della maggioranza, quale massimo rischio delle democrazie moderne. Qui e oggi, viceversa, il pericolo concreto consiste nella dittatura della minoranza “.
A differenza dei due valenti giornalisti – sostenitori peraltro (e non a caso) delle ragioni del Sì al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 – io plaudo alla coraggiosa scelta del Pd (e, mi auguro, anche delle altre forze della sinistra) di ‘resistere’ con dignità e responsabilità alle strategie politiche semplificanti e alle scorciatoie decisioniste di movimenti populisti come la Lega e il M5S (Ainis) . Scelta che considero l’unica praticabile per uno schieramento che voglia recuperare in tempi non biblici l’identità smarrita ed evitare, così, una autolesionistica…auto-
Ma – soprattutto – scelta che appare la più coerente con il risultato del referendum del dicembre 2016 che ha detto un chiaro NO ad un avventuroso e pericoloso modello di democrazia plebiscitaria o ‘dell’investitura’, confermando la propria fiducia nel modello ‘costituzionale’ di democrazia rappresentativa che il M5S – come testimoniato dalla recente intervista di Casaleggio al Washington Post – vorrebbe da tempo rottamare.
(*) L’autore è socio del Circolo Leg di Napoli
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