Bari/ L’universalità dei diritti nella rivoluzione di Papa Francesco

16 Marzo 2018

A cinque anni dal suo inizio ( 13 marzo 2013), il Pontificato di Papa Francesco può già considerarsi come una vera e propria rivoluzione, provocata non dalla politica in senso stretto, ma dalla fede religiosa; rivoluzione antitetica, proprio per tale sua natura, a quella di Gregorio VII, che ha dato inizio alla tradizione giuridica occidentale, allorché, come sostiene H. Borman in una significativa ricerca ( Diritto e rivoluzione. Le originie della tradizione giuridica occidentale, Bologna, Il Mulino, 2006), la Chiesa sancì la propria unità politico-giuridica e la propria indipendenza dai centri laici del potere del tempo, dando luogo alla nascita del diritto canonico.

Dal giorno del suo esordio, il magistero dell’attuale Pontefice affronta la più grande migrazione di popoli, che da anni l’intero nostro pianeta sta vivendo , con modalità diverse, in tutti i continenti. A causa di questa vicenda veramente epocale, la proibizione di ognischiavitù e lavoro forzato, che il secolo scorso   ha sancito solennemente a tutti i livelli, nazionali e sovranazionali, specie dopo la fine della seconda guerra mondiale, e che formalmente continua ad essere valida, coesiste con la diffusione di tali patologie nella concreta realtà dei fatti, alimentata dalla perversa, attuale, globalizzazione dei mercati. In presenza di questo paradosso, la fede religiosa,proprio grazie alle strategie, che l’attuale Pontefice sta portando avanti non senza contrasti nel tessuto della stessa comunità ecclesiastica, è riuscita ad elaborare principi etici, che suppliscono le carenze della politica, incapace di assolvere il ruolo formativo che la nostra tradizione le assegna. Anche attraverso una comparazione diacronica con l’esperienza passata, è fondamentale spiegare come tale vicenda si stia realizzando sotto i nostri occhi, all’interno di un modello di sviluppo socioeconomico, causa di un evidente degrado umano, sociale ed ambientale, oltre che di guerre e di pericolosissime instabilità.

 

Necessaria è, a riguardo, la comprensione della reale figura dell’attuale Pontefice e delle dinamiche del suo pontificato, come si delineano dopo questo primo quinquennio di vita. L’esperienza pastorale di Bergoglio, subito dopo la sua nomina a vescovo ausiliario di Buenos Aires nel maggio del 1992, si realizza nella grande baraccopoli, che vive ai margini della capitale argentina, del tutto simile a quella delle altre baraccopoli, che le grandi migrazioni di popoli, ai margini delle nuove città, creano in tutti i continenti del pianeta. Chi voglia documentarsi su questo fenomeno, tipico dell’urbanesimo contemporaneo, può consultare, almeno per ciò che riguarda, l’Africa i testi del comboniano padre Daniele Moschetti, Il Vangelo nella discarica, Dissensi , 2008, oppure   Sud Sudan. Il lungo e sofferto cammino verso pace, giustizia e dignità, Viareggio,Dissensi Edizioni, 2017, dove si trova una significativa introduzione proprio di Papa Francesco, che, con questa iniziativa, si propone di sensibilizzare la comunità internazionale su questo dramma silenzioso e nascosto all’opinione pubblica mondiale dai tradizionali mezzi di comunicazione.

In tali realtà, che noi occidentali sorvoliamo appena, quando l’aereo su cui viaggiamo si appresta ad atterrare in un aeroporto delle nuove megalopoli, Bergoglio ha sperimentato direttamente la moderna globalizzazione, acquisendo piena consapevolezza della varietà culturale, che caratterizza le città contemporanee e della conseguente esigenza del dialogo tra i diversi, che richiama sempre nel corso del suo pontificato. Periferie, poveri, popoli sono i terreni sui quali si svolge l’impegno dell’attuale Pontefice e nello stesso tempo i temi oggetto della sua riflessione già prima di diventare Papa.

Una volta salito al soglio pontificio, questa particolare vicenda biografica investe tutta la vita della Chiesa e la sua stessa architettura, fornendo, nello stesso tempo, una lettura del tutto inedita del mondo contemporaneo.. Per papa Bergoglio, i poveri devono passare dai margini al centro della Chiesa, poiché le periferie ne costituiscono il futuro. La Chiesa, a differenza del passato, deve uscire dai suoi “palazzi” e si deve muovere nelle periferie delle grandi megalopoli, piantando in esse la sua “tenda”, per seguire da vicino le migrazioni dei popoli, poiché queste sono le priorità del XXI secolo.

Le conseguenze di questo postulato si riflettono su campi diversi tra loro.

In primo luogo, immigrazione e povertà, nelle loro nuove manifestazioni, sono alla base della svolta radicale che Bergoglio ha impresso alla concezioni dei diritti del secolo passato. Per papa Francesco, i diritti umani sono inviolabili, per usare l’espressione adottata dall’art. 2 della nostra Costituzione, superano i confini del passato, poiché essi spettano a tutte le persone umane, dovunque nascano e dovunque migrino; la cittadinanza, lungi dal configurarsi come bene esclusivo di un territorio o di uno Stato, diventa universale a tutti gli effetti, aprendosi potenzialmente a tutti, così come acquistano grande rilievo i beni comuni, a partire dall’ambiente.

In questa nuova unità del mondo contemporaneo, la guerra diventa il vero strumento di autodistruzione dei popoli. Rivolgendosi ai credenti di ogni fede religiosa, Francesco non si stanca mai di ribadire che l’uso della fede religiosa per praticare l’omicidio, l’oppressione ed il terrorismo, rappresentano la bestemmia più grande che l’umanità possa pronunciare contro Dio. Andando al di là anche degli ideali che, dopo la seconda guerra mondiale hanno ispirato la nascita dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, oggi, secondo papa Francesco, sull’intero pianeta, deve operare una nuova legge ed una nuova politica, che rivisitino i termini della pace e della lotta alla povertà, consentendo a tutti gli esseri umani di convivere e crescere nel terzo millennio. Come ha ricordato al Consiglio Plenario della Commissione Internazionale Cattolica sulle Migrazioni ( ICMC), che si è concluso a Roma l’otto marzo scorso, gli Stati sono tenuti a concordare risposte più adeguate e d efficaci alle nuove sfide, poste dai fenomeni migratori, accogliendo, proteggendo, promuovendo ed integrando le persone che sono state costrette a lasciare la propria patria e che diventano troppo spesso “…vittime di inganni, violenze ed abusi di ogni genere”.

La “Chiesa in uscita” dell’attuale Pontefice e le conseguenti strategia che essa ispira, stanno mutando radicalmente gli equilibri mondiali, proiettando verso un nuovo umanesimo l’anima europea, storicamente frutto dell’incontro di civiltà e popoli diversi. Nel corso del suo Pontificato, papa Bergoglio non si stanca mai di ricordare che la stessa identità europea è, prima di tutto, un’identità dinamica e multiculturale, che smentisce il mito “ cieco e sordo” della purezza delle origini. Il nuovo umanesimo europeo, che l’attuale Pontefice legittima, è esattamente l’opposto della paura, dell’esclusione e del sospetto, che oggi sembrano vincenti sul piano dei consensi elettorali; l’Europa non è uno spazio da difendere, ma un continuo processo di inclusione e trasformazione di gruppi e persone diverse all’interno di un mondo in movimento.

Secondo la tesi, sostenuta dal direttore della “Civiltà cattolica” in un libro pubblicato di recente ( A. Spadaro, Il nuovo mondo di Francesco. Come il Vaticano sta cambiando la politica globale, Marsilio, Venezia, 2018), il ruolo esplicato dall’attuale Pontefice è quello di incarnare la tensione religiosa, che deve percorrere la Chiesa. “ Allo stesso tempo, non si deve aver timore a parlare di Bergoglio nei termini di un leader rivoluzionario, perché “rivoluzionario” è colui che porta nel mondo la logica della misericordia”.

(*) L’autore è socio del Circolo di Leg di Bari 

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