La Galleria Borghese? Ora Fendi farà i saldi sui Caravaggio

27 Gennaio 2018

Storico dell’ Arte, ordinario all’ Università di Napoli, in qualità di massimo esperto dell’ opera di Bernini, Tomaso Montanari si è rifiutato di curare la mostra del maestro alla Galleria Borghese perché non in linea con la gestione del museo. Sull’ accordo con Fendi è perplesso: “Innanzitutto non si capisce cosa ci guadagni lo Stato”.

Cosa non va nell’ accordo con la maison di moda, secondo lei?
Lo Stato ci guadagna in termini di tutela delle opere? No, perché l’ accordo non riguarda un finanziamento alla tutela, che alla Galleria Borghese invece è un problema fondamentale.
Ci sono state delle polemiche feroci sul condizionamento delle sale, sullo stato della Deposizione Borghese appunto di Raffaello, uno dei simboli del Rinascimento che ha dei seri problemi di conservazione a causa del clima e della mancanza di un sistema di condizionamento moderno.

La direttrice Anna Coliva sostiene che la Galleria non abbia bisogno di restauri.
Ma non c’ è neanche un vantaggio per la conoscenza. La Galleria Borghese è un esempio tipico della riforma Franceschini. C’ è solo la direttrice Coliva come storica dell’ Arte, manca un comitato scientifico, uno staff vero o un corpo di ricercatori.

Le assunzioni dovrebbero arrivare dalla Fondazione Caravaggio.

Ma la ricerca su Caravaggio è tuttora completamente priva di comitato scientifico. La direttrice ora dice che assumerà dei ricercatori e noi ci dobbiamo fidare. Ma comunque saranno assunzioni precarie, a tempo e a progetto. Non c’ è niente che non sia effimero in questo accordo e non c’ è un progetto scientifico che sia stato vagliato dalla comunità scientifica internazionale.

Venendo invece a ciò che la Galleria dà a Fendi, lei cosa ne pensa?
Penso che Fendi diventa sostanzialmente padrone della Galleria Borghese. Potrà addirittura opporsi a qualunque all’ arrivo di qualunque altro sponsor voglia entrare nella Borghese, compreso un vero mecenate. Qui si crea un binomio: Galleria Borghese-Fendi e dovrà essere chiamata così d’ ora in poi. Un’ associazione di loghi, in cui la griffe può fare ciò che vuole per tutta la durata del contratto.

La direttrice sostiene che non sia così. Che Fendi non userà i locali per le campagne pubblicitarie.
Invece sì. È scritto nell’ accordo. La griffe potrà “disporre dell’immagine dei beni” – già il termine denota la pochezza culturale, visto che ‘i beni’ sono Canova, Bernini, Caravaggio, Raffaello, Rubens. Se Fendi decide di stampare quei quadri sulle borse, come fa Luis Vuitton, può farlo.

Cosa c’è di male in questo?
Si cede un pezzo di patrimonio dell’umanità a un marchio commerciale, con una contropartita risibile.
Per tre anni entreremo in una grande fabbrica dell’ immagine di Fendi. Dove, tra l’altro, la maison compra ai saldi di fine stagione. Perché se proprio si decide di cedere le opere per fini commerciali, almeno avrebbero potuto chiedere milioni di euro anche sulle singole opera.

Coliva dice che in Francia si fa così.
Non è vero. Lì i mecenati in cambio hanno solo sgravi fiscali.

Il Fatto Quotidiano, 24 gennaio 2018

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