“A Roma fanno una cerimonia di investitura del capo e la chiamano assemblea”. Dall’Auditorium di Santa Apollonia a Firenze, dove presiede un seminario di Libertà e Giustizia sull’anniversario del referendum costituzionale, Tomaso Montanari spranga la porta alla coalizione “rossa” che ha appena celebrato Pietro Grasso. Un rito da vecchia politica per Montanari, presidente dell’associazione ma soprattutto volto e motore del Brancaccio, l’assemblea che doveva unire i comitati del No alla sinistra non dem.
Il pontiere doveva essere lui. Ma è andata male, anzi peggio. “Ho provato sulla mia pelle il cinismo dei partiti, non tollerano che qualcuno ripeta davanti a tutti ciò che si dice in stanze chiuse” sibila, tra affreschi alle pareti e un pubblico folto che cerca una rotta. O meglio “qualcuno da votare”, come invoca al microfono un signore. E nell’attesa ci sono i cocci di quello che non è stato, l’accordo tra i comitati di base e i partiti rosso antico. Montanari chiedeva liste con il 50 per cento di carneadi, e il passo di lato per tutti coloro che avevano avuto incarichi di governo, inclusi Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani. “Invece hanno calato dall’alto un capo e preso dei testimonial dalla società civile” accusa il professore.
E insiste: “Nulla contro Grasso, ma l’hanno scelto perché è rassicurante. E io mi chiedo, cosa vuoi rassicurare? Dappertutto quelli che funzionano sono i profili netti, Corbyn in Gran Bretagna o Iglesias in Spagna”. Eppure c’è chi ancora chiama, come Giuseppe Civati (“A me i Montanari piacciono”). Ma lui non si commuove: “Non daremo indicazioni di voto. Piuttosto, Libertà e Giustizia stanerà i partiti: chiederemo se pensano di costruire maggioranze alternative o di ritoccare la Carta. Vedrete, non riusciranno a fare un governo e daranno la colpa alla Costituzione, per poi riprovare a stravolgerla”.