La soddisfazione per la vittoria referendaria dello scorso anno non può far dimenticare il problema della mancata attuazione di parti importanti della Costituzione. A destare allarme è, in particolare, la crescita della diseguaglianza: le politiche legislative degli ultimi decenni sono servite a incoraggiarla invece che a contrastarla. Il 20% delle famiglie italiane più ricche è oramai cinque volte più benestante del 20% di quelle più povere, certifica l’Istat, mentre per Oxfam i sette italiani più facoltosi possiedono la stessa ricchezza dei 18 milioni più indigenti.
Negli ultimi cinque anni, nonostante la crisi, le risorse affidate ai gestori di fondi privati sono sempre aumentate, sino a toccare la cifra record di 1.937 miliardi di euro nel 2016: mille miliardi in più che nel 2011. Nel contempo, 4,7 milioni di italiani versano in condizioni di miseria (dati Istat – in dieci anni sono più che raddoppiati) e siamo al terzo posto in Europa per numero di poveri. Altri 9,3 milioni di persone sono sulla soglia dell’indigenza, non di rado nonostante abbiano un lavoro. Nel complesso, più di un italiano su cinque è povero o rischia di diventarlo. Tra i bambini il rapporto sale a uno su tre.
Come invertire la rotta? È questione di rapporto tra risorse e diritti. La Costituzione indica due vie.
La prima, sul lato delle entrate, è ritornare a un sistema fiscale realmente progressivo. Quando nel 1973 venne istituita l’Irpef, l’imposta era articolata su trentadue scaglioni, dai 2 ai 500 milioni di lire, con aliquote che andavano dal 10% al 72%. Oggi, dopo la riforma Visco del 1998 (primo governo Prodi), gli scaglioni sono cinque – il più basso a 15mila euro, il più alto a 75mila euro – con aliquota minima al 23% e massima al 43%. Negli anni, sono state aumentate le tasse ai poveri per diminuirle ai ricchi.
Il discorso vale anche per i patrimoni, a iniziare dall’imposizione sugli immobili che persino l’Unione europea ritiene inadeguata (specie se si pensa alla mole di abitazioni inutilizzate). E non si può dimenticare la vergogna dell’imposta di successione: in una società dominata dalla retorica del merito, è inaccettabile che l’aliquota italiana più elevata sia equivalente alla più bassa aliquota tedesca. Il discorso sull’insostenibilità della pressione fiscale è mistificatorio. Le tasse vanno abbassate a chi versa oltre la propria capacità contributiva: ai redditi bassi e ai redditi medi. Agli altri vanno aumentate. Senza dimenticare il recupero dell’evasione fiscale, oltre 100 miliardi all’anno. Le risorse per fare politiche sociali ci sono, eccome.
La seconda via, sul lato delle uscite, è riconoscere che non tutte le spese pubbliche sono uguali. Alcune sono necessarie, altre facoltative, altre ancora vietate. Non è accettabile che 4,1 miliardi di euro siano stati spesi nell’acquisto di aerei da guerra e che altri 14 stiano per esserlo. L’Italia «ripudia la guerra», dice la Costituzione: l’acquisto di armamenti idonei a “proiettare” le nostre forze armate oltre i confini nazionali è incostituzionale.
Altre spese non incontrano questo limite assoluto, ma vanno ritenute ammissibili solo a condizione che prima siano state soddisfatte tutte le esigenze di attuazione, quantomeno, del nucleo essenziale dei diritti costituzionali. Così, per fare un solo esempio, l’impiego di oltre 10 miliardi di euro nel Tav Torino-Lione deve essere considerato incostituzionale, se poi mancano i 7 miliardi necessari a combattere la povertà assoluta. Analogo discorso vale per salute, casa, assistenza, istruzione, università, lavoro, previdenza: tutte spese prioritarie. Diversi sono gli strumenti utilizzabili per imporre il rispetto della giusta priorità: dal controllo di ragionevolezza sulle leggi di bilancio prefigurato da Lorenza Carlassare, all’introduzione di una riserva di bilancio in favore dei diritti sociali proposto da Gianni Ferrara su questo giornale alcuni anni fa.
Rovesciare le politiche che producono diseguaglianza: questa la sfida che va raccolta per festeggiare davvero la Costituzione uscita vittoriosa dal voto popolare di un anno fa.