Ferruccio de Bortoli: “Pochi poteri forti rimasti in Italia lasciano maggior spazio a quelli occulti”

10 Novembre 2017

Qual è il tema centrale del suo libro?

Ferruccio de Bortoli: Nel libro mi rammarico che siano rimasti pochi poteri forti in Italia. Che siano ovvero rimasti pochi grandi gruppi industriali e pochi grandi gruppi finanziari. Mi rammarico che non ci siano più partiti di massa, pur non avendo nessuna nostalgia per il Novecento delle ideologie. Penso che i partiti e i sindacati debbano avere un ruolo, e i poteri forti siano indispensabili, se agiscono con grande senso di responsabilità.

 

Per quale ragione i poteri forti sono indispensabili?

Perché i poteri occulti hanno più spazio quando i poteri forti, responsabili, trasparenti ed evidenti declinano o non hanno più un ruolo. E allora sono amicizie, cordate, massonerie, famiglie o legami di altra natura che non sono trasparenti e forse, a volte, rendono l’affermazione del merito molto più difficile.

 

Come situa la mafia in questo contesto?

La mafia è certamente un potere oscuro ma un potere declinante, perché la lotta alla mafia ha avuto un certo successo. Continuo a preoccuparmi per la forza della ‘ndrangheta che si è internazionalizzata ed è penetrata in attività economiche, distorcendo la concorrenza. E’ diventato molto più difficile oggi contrastare la criminalità organizzata che non gestisce più soltanto le attività classiche della malavita, la droga, la prostituzione o il traffico di esseri umani. La mafia condiziona distorce la concorrenza creando danni seri all’imprenditoria privata.

 

Nel suo libro lei richiama al dovere di memoria. Come valuta questo impegno in Italia?

L’Italia è per sua natura un paese un po’ distratto che tende a dimenticare molto facilmente e che interpreta la storia come strumento per la lotta politica del presente. E’ soggetto, come altri paesi, ai revisionismi di circostanza. Sono convinto che la memoria del Novecento, della Shoah, dei grandi genocidi, la memoria di cosa ha rappresentato il nazifascismo non debba essere dispersa. Mi preoccupo quando nei nostri paesi cosi evoluti, colti e informati riemergono i fantasmi del Novecento. Mi preoccupa delle tendenze antisemite e xenofobe nei paesi dell’est dell’Europa. E mi preoccupa che alcuni fantasmi del Novecento sono branditi anche da forze che vengano addirittura presentati alle elezioni come modelli sociali di cui avere una certa nostalgia.

 

Come possono contribuire i giornalisti al dovere di memoria?

I giornalisti possono e devono contribuire perché sono la memoria di un paese. E devono fare in modo che le vittime non muoiono una seconda volta, che i giusti non vengano dimenticati e soprattutto che non siano i colpevoli e gli assassini a scrivere la storia del presente.

 

Dopo la Spagna, i referendum in Lombardia e nel Veneto hanno accentuato il rischio di disgregazione dell’Europa. Come valuta questi fenomeni?

La situazione italiana è molto diversa da quella spagnola. I referendum in Lombardia e nel Veneto si sono svolti nel pieno rispetto delle regole costituzionali. Sono due petizioni per l’inizio di una trattativa per la devoluzione di alcuni poteri. Per altro previsti dalla stessa Costituzione. Non c’è quindi nessuna voglia secessionista. Anche se la voglia di secessione era nella Lega Nord di Umberto Bossi, Matteo Salvini è addirittura diventato un nazionalista, un sovranista. Non c’è nessun pericolo da questo punto di vista.

 

E per quanto riguarda la Catalogna?

La Catalogna ha preso invece una via senza ritorno, senza avere un piano B, senza capire che forse molte istanze autonomiste potrebbero così soccombere di fronte ad un incredibile scontro di potere con il governo centrale spagnolo nel cuore di un’Europa che non può far altro che dar ragione a Madrid. Ma che non può non vedere che esiste comunque un problema politico e, soprattutto, che esiste la necessità di una ricucitura dei rapporti umani che è forse la sfida politica più importante per la Spagna. Ma anche per l’Europa.

 

Il federalismo può essere una soluzione per l’Europa?

L’Europa è un’unione di minoranze, quindi ha in sé, tramite il principio di sussidiarietà, l’idea di una costruzione federale con alcuni poteri devoluti alle istanze comunitarie e una serie di libertà per gli Stati e per le comunità nazionali. L’Europa è dunque già disposta alla salvaguardia delle minoranze che possono convivere all’interno degli Stati.

 

Lei si è opposto a Silvio Berlusconi e a Matteo Renzi quando erano presidenti del consiglio. Secondo lei, torneranno in auge?

Berlusconi e Renzi si assomigliano. Sono due grandi comunicatori. Sono due grandi affabulatori. Hanno un modo diretto e personale di gestire la politica. E’ più difficile trovare delle differenze che delle concordanze. E questo la dice lunga sul fatto che destra e sinistra sono due concetti relativi, consegnati al passato. Detto questo, credo che saranno protagonisti dopo le elezioni di un tentativo di ricomposizione nazionale e questo sarà probabilmente il tema politico dei prossimi mesi.

 

Lei ha sempre rifiutato di entrare in politica. Perché?

Ho avuto diverse occasioni di candidarmi come sindaco di Milano. Ma non l’ho l’ho fatto perché ritengo di non essere all’altezza di un compito di questo tipo. Ho troppo rispetto per la politica. Penso che il  futuro sia quello di continuare a fare, in maniera diversa, oggi da semplice collaboratore, il mio mestiere che, come testimonia questo libro, continua ad appassionarmi.

 

 

 

Ginevra, 31 ottobre 2017 

www.ilquaderno.ch 

 

(*) Invitato dall’associazione Libertà e Giustizia, in collaborazione con “A Riveder le Stelle”, l’ex direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli, ha presentato il suo libro Poteri forti (o quasi), (2017, La nave di Teseo editore) all’Università di Ginevra, il 31 ottobre scorso. Il giornalista che si è opposto a Silvio Berlusconi, Matteo Renzi e alla guerra in Iraq, ha risposto alle domande di Luisa Ballin del Quaderno.

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