E’ tragedia e commedia a un tempo. La tragedia è terribile. La commedia miserabile, ma sta trovando il suo pubblico e rischia di volgersi in una seconda tragedia. La prima tragedia è quella dei migranti.
I motivi che li spingono a traversare il mare sono arcinoti: i danni persistenti del colonialismo, del neo e del postcolonialismo, i cambiamenti climatici suscitati dalla «modernizzazione» occidentale, le guerre promosse dagli occidentali, i dittatori e gli estremisti sostenuti e armati dall’occidente. Il dato più drammatico, e più incompreso, è che per traversare il mare i migranti mettono a rischio la loro vita e quella dei loro figli. Eppure, hanno varcato deserti, sofferto fame e sete, subito mille angherie, per giunta sapendo che saranno male accolti.
Il loro afflusso, così cospicuo e disordinato, crea problemi. Non è quello, previsto e ben accetto, della manodopera low cost pronta a svolgere mansioni che gli occidentali disdegnano. È la repentina irruzione dell’«altro» nelle nostre esistenze.
C’è poco da discutere. L’«altro» ha la pelle di un altro colore, parla un’altra lingua, ha altri costumi.
Può piacere il cuscus, ma il multiculturalismo non è facile. Né il turismo esotico, né qualche documentario televisivo scalfiscono un profondo, e inevitabile, deficit di conoscenza. Solo una classe dirigente accorta e responsabile, consapevole che, malgrado tutto, il Paese si rispecchia in essa, potrebbe contribuire a colmarlo. Con la scuola e l’informazione, oltre che richiamando i cittadini agli obblighi che impone la comune condizione d’abitanti del pianeta: riconoscerebbe i misfatti commessi dall’Occidente e predisporrebbe misure di accoglienza ordinate. Le classi dirigenti europee gareggiano invece nello scaricabarile e nell’imbastirci sopra campagne elettorali. In Italia al momento va in scena una desolante commedia, articolata in due mosse.
La prima sono gli accordi coi libici, coi governi africani e la cosiddetta vigilanza sui trafficanti. È una mossa che serve unicamente a respingere i migranti sulle coste del nord Africa o possibilmente più a sud. In Libia li si consegna alle fazioni in armi che si contendono brandelli di territorio. Altrove li si restituisce ai carnefici dai quali fuggono. La seconda mossa è l’attacco alle Ong.
La società civile non è virtuosa per definizione. I malintenzionati sanno bene come profittarne: antimafia e Roma capitale docent. Che uno Stato serio eserciti la sua vigilanza non stupisce. Ma stavolta lo Stato gioca pesante: insinua sospetti e pone vincoli all’azione umanitaria delle Ong, le usa come capro espiatorio. Invece di apprezzarne e sostenerne l’operato, che colma le sue manchevolezze.
Queste due mosse sono fumo negli occhi. Lo sa pure chi le compie. Sono mosse elettorali, che magari aiutano pure a mascherare la mancata soluzione della crisi economica e occupazionale che affligge il Paese da quasi un decennio. Stanno provando a spostare sull’immigrazione la prossima campagna elettorale. Ma l’ondata migratoria è incontenibile. Si può provvisoriamente rallentarla, ma troverà altre strade. Per arrestarla servirebbe un cambiamento radicale delle politiche dei governi e delle multinazionali occidentali. Si cominciasse domani, una generazione non basterebbe a curarne gli effetti. Oltre a essere inefficaci, ingiusti, «disumani», tanto i respingimenti, quanto la criminalizzazione dello Ong hanno tuttavia un terribile effetto collaterale: legittimano e diffondono il razzismo. Che è ben più temibile delle migrazioni.
Le volgarità di un razzista confesso come Salvini e di qualche controfigura esibita dai 5 Stelle sui teleschermi fanno danno. Attenzione: finiamola col populismo. Incoraggiato dalla voyeuristica attenzione dei media, è il fascismo del nuovo millennio. Ma a far scandalo soprattutto è la parte in commedia che in Italia stanno recitando il governo e il Pd. Il governo, tramite il ministro degli interni, sta compiendo le due mosse di cui sopra. Il capo del Pd, che verosimilmente ne è l’ispiratore, ha per parte sua prescritto di uscire «dalla logica buonista e terzomondista per cui noi abbiamo il dovere di accogliere tutti quelli che stanno peggio di noi». I migranti vanno aiutati «a casa loro». Superficiale com’è, forse lo ignora.
Ma simili strizzate d’occhio, tanto quanto gli atti del governo, non valgono molto, ma fanno scandalo e sdoganano il razzismo. Non a caso hanno dato la stura a una sequela di affermazioni e gesti razzisti, da parte di infimi gerarchi locali del Pd, minimizzati, ma non smentiti, dai dirigenti nazionali. Se la difesa della democrazia è affidata a lor signori, c’è da avere paura.
In media gli esseri umani sono d’istinto diffidenti, non razzisti. Poche settimane fa a Milano si è svolta un’imponente marcia pro migranti. Eccitare la diffidenza, con parole e mosse incaute o ambigue, per trarne profitti politici, è giocare col fuoco che nutre il razzismo. I precedenti lo confermano. Se proprio non si riesce a onorare l’umanità di cui ci vantiamo, almeno per salvaguardare un minimo di civile convivenza, anche il segno più vago di razzismo va bandito. Chi ha a cuore la democrazia chiami le cose col loro nome e dica che non ci sta.
il manifesto, 11 agosto 2017