Quando il premier britannico Cameron ha detto che l’uscita del Regno Unito sarebbe l’inizio di una disgregazione dell’Unione Europea, che riproporrebbe il rischio di guerre europee, si può sperare che abbia esagerato il pericolo.
Ma è certo che egli si rifaceva a una storia di conflitti che il processo di unificazione europea ha chiuso, ormai da ininterrotti settant’anni. Un tempo di pace mai così lungo nella storia. Fin dall’inizio, alla fine degli Anni 40, i grandi che immaginarono il percorso avevano ben chiaro lo scopo di rendere impossibile la guerra in Europa, operando su due terreni. Il primo era quello dello sviluppo e dell’integrazione economica, il secondo quello di una «unione sempre più stretta» nella protezione dei diritti e delle libertà fondamentali. Quest’ultimo fu in verità il primo nel tempo, con la fondazione del Consiglio d’Europa e l’approvazione della Convenzione europea dei diritti umani. L’armonizzazione dei diversi sistemi statali nella difesa dei diritti fondamentali è indicata come scopo comune nei preamboli e nei testi di tutti i principali trattati su cui l’Unione Europea si fonda. Accanto al richiamo ai diritti e alle libertà, fin dall’inizio si affermò che era essenziale operare sul terreno della cultura comune. A insistere in tal senso fu in particolare lo spagnolo, oppositore del franchismo, Salvador de Madariaga, che già nel 1948, nel congresso da cui nacque il Consiglio d’Europa, sostenne che le istituzioni europee non avrebbero vissuto se non avessero potuto contare su un coerente tessuto culturale europeo. Ne nacque il Collegio d’Europa di Bruges e poi lo straordinario programma Erasmus, che ha mosso e fatto studiare in Europa migliaia di giovani. Ora assistiamo al risorgere di nazionalismi che si credevano scomparsi, che rivendicano talora immaginarie identità esclusive e pretendono sempre più ampi margini di discrezionalità, per differenziarsi anche nel campo dei diritti fondamentali. Ma la realtà europea fatta di scambi personali e culturali, stili di vita che consentono di sentirsi a casa anche fuori del Paese di origine, si può credere che sopravvivrebbe persino alla definitiva crisi delle istituzioni europee.