A Locri, in Calabria, chiude la squadra femminile di calcio a cinque, dopo avvertimenti e minacce dell’Ndrangheta

27 Dicembre 2015

Massimo Marnetto

La squadra femminile di calcio a 5 di Locri, chiusa per ‘Ndrangheta, deve continuare a giocare il campionato, per dare un segnale di legalità a chi pensa di poter imporre la legge della forza per sovvertire la forza della legge. A costo di commissariarne la guida mentre si studiano le soluzioni del caso, facendone così una questione di principio e un gesto simbolico, in una terra – come la Calabria e la Locride in particolare – che ha sempre patito il disinteresse del governo centrale verso le cause profonde del proprio degrado sociale.

Una vicenda emblematica della sfida della criminalità organizzata allo Stato di diritto, che non può soccombere a causa dell’onestà disorganizzata. Occorre reagire a questo evento con l’intensità di altre questioni legate alla sicurezza, dispiegando visibili presìdi, scorte e azioni di intelligence, per colpire i colpevoli e far capire a chi attenta alla serenità di un’intera comunità, che lo Stato risponde con convinzione, quando sono a repentaglio valori costituzionali di sovranità.

Come cittadini profondamente convinti dell’indissolubilità di legalità e democrazia chiediamo un segnale di attenzione e mobilitazione da parte delle Autorità, per non lasciare alla criminalità altre occasioni di sopraffazione e ribadire vicinanza concreta a chi vive l’affronto della violenza e lo sconforto dell’indifferenza. Incoraggiando così la mobilitazione delle forze sane della Regione, che ci sono e operano, ma vanno sostenute in questi momenti di verifica della coesione sociale. Che possono fare la differenza nella mentalità diffusa tra l’affermazione della fiducia nello Stato o la conferma della sua assenza. Contro l’impotenza degli onesti.

(*) Libertà e Giustizia di Roma

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