Al primo colpo d’occhio Piazza della Repubblica non è gremita come siamo da sempre abituati a vederla in occasione delle manifestazioni indette dalla FIOM. Dagli organizzatori avevamo appreso già qualche giorno fa che alcuni pullman erano stati cancellati, che altri sarebbero partiti ma non al completo. L’effetto congiunto della paura e del tempo inclemente, soprattutto per chi si sposta dal nord, ha prodotto i suoi risultati. Poi a mano a mano la selva delle bandiere si fa più fitta, gli striscioni si allineano pronti a muoversi, dall’altoparlante si diffondono le note di Bella ciao. C’è chi ha viaggiato l’intera notte per giungere a Roma nelle prime ore del mattino e dice con convinzione che non si può disertare la piazza proprio ora, che bisogna esserci. Il corteo avanza, con la sua testa multietnica che chiede la pace contro tutte le guerre, si snoda fra presidi vistosi di forze dell’ordine lungo il percorso tradizionale che porta a Piazza del Popolo.
Dal Pincio un gigantesco striscione della pace si tuffa verso di noi. Dal palco parla la rappresentante del popolo curdo: “La nostra è la strada della pace, per la nuova speranza in Medio Oriente, per costruire una società giusta. Ma la guerra cesserà soltanto se sarà interdetto il commercio delle armi. Ci chiedete se abbiamo paura: si, abbiamo paura della paura che spegne l’intelligenza”.
La pioggia che ci ha accompagnato fin dai primi passi del corteo diventa intensa, martellante. Il cronogramma era stato studiato con cura per dare spazio alle tante voci del lavoro mortificato, dell’ambiente stuprato, della conoscenza svilita, che tentano con fatica di comporsi e di costruire un progetto comune dentro lo spazio della coalizione sociale, di cui oggi sono presenti tutti gli attori.
Ma ora le bandiere sono zuppe, mantelline e ombrelli servono a poco. Così gli organizzatori devono tagliare molti interventi. Sui maxischermi scorrono i volti delusi di chi si preparava a raccontare il proprio frammento di disagio per trasformarlo in elemento di una strategia comune. La parola passa a due compagne della CGT. “Molti di noi hanno perso una settimana fa amici e compagni di lotta; ma la risposta al terrorismo non può essere la guerra. La guerra impoverisce la popolazione, genera crisi economica e sociale della quale il terrorismo si nutre. Non fermeremo la vendita delle armi con qualche modifica costituzionale, non vogliamo rinunciare ai nostri diritti, vogliamo che siano estesi a tutti”.
Non ci sono ripari nella grande piazza: la gente però non se ne va. “Essere qui oggi è stato da parte vostra una prova di coraggio civile e noi parliamo anche a nome di chi non se l’è sentita di venire”: sono appassionate e vibranti le conclusioni di Landini. “Basta vendere armi! Basta comprare petrolio! Il solo modo perché il terrorismo non passi è difendere insieme al lavoro i diritti delle persone, a cominciare dalla pace”.
Sotto un ombrello al mio fianco due ragazzi grondanti . Uno dice: “Penso ai giovani come noi che non hanno il diritto di scendere in piazza se non rischiando la vita, penso che non dobbiamo distrarci nemmeno per un attimo”.