I retroscena del respingimento burocratico – Parla un avvocato esperto in diritto dell’immigrazione

10 Ottobre 2015

Massimo Marnetto

“… e quando hanno la sensazione di essere arrivati al sicuro, non sanno che proprio allora c’è la trappola più subdola che porta al rimpatrio”

L’avvocato Salvatore Fachile – dell’Associazione Studi Giuridici per l’Immigrazione (ASGI) – è un fiume in piena, mentre parla nell’incontro “Migranti: per un’accoglienza sostenibile”, organizzato da Libertà e Giustizia di Roma. Dice cose che nessuno dice, fino ad entrare nei gironi dei profughi.
“Mentre sono ancora stravolti dalla traversata, al Centro di primo soccorso ricevono  dei questionari, con una lista di motivi del viaggio, tra i quali indicarne uno. Ci sono molte voci – lavoro, studio, futuro migliore, ecc. – e l’elenco finisce con “altro”. Solo chi ha barrato “altro” è nelle condizioni di perfezionare successivamente la richiesta di asilo. Ma quasi nessuno lo sa. E molti barrano una delle altre voci, entrando nel piano inclinato del  “motivo economico”, cioè l’anticamera del rimpatrio.
“Ci dovrebbe essere un interprete, ma è raro che ci sia. Ci potrebbe essere un rappresentante di un’organizzazione umanitaria, ma il suo accesso è rimesso alla discrezionalità del presidio. L’altra domanda trabocchetto dei funzionari è “tu vuoi farti mantenere dallo Stato o vuoi lavorare?”. Molti migranti indicano la seconda, perché il loro progetto prevede la stabilità ed il lavoro, non l’assistenza. Pensano di aver risposto in modo veritiero e dignitoso, ma hanno sbagliato, perché indicare il lavoro come prospettiva è un altro elemento che rinforza il “motivo economico”.
C’è silenzio nella sala. Con la mente siamo tutti a Lampedusa, sul fiume Evros tra Turchia e Grecia, sugli scogli di Ventimiglia. Dove persone sfinite dalla stanchezza, dai ricatti, dalle violenze, devono anche subire le angherie burocratiche. Come i “controlli occasionali” che i gendarmi francesi attuano, sbirciando nelle auto in transito sulla frontiera, e fermando solo quelle con un “nero” bordo, senza violare formalmente il trattato di Shengen. In perfetta consonanza con  l”Europa del Trattato di Ginevra – che vieta il respingimento del profugo – ma che ogni stato cerca  di aggirare con l’inganno.
“Ora la situazione si sta persino aggravando – continua Fachile – perché l’identificazione sarà più vincolante e con la presenza di ufficiali di altri paesi membri. Il motivo è semplice: non si fidano di noi. Sanno benissimo che per anni abbiamo chiuso un occhio non identificando i profughi in transito, con il vantaggio reciproco per noi, di non doverli prendere in carico; per loro, di poter raggiungere la destinazione in nord Europa che desideravano. Ora l’identificazione si farà e l’Europa consente  l’uso della forza e la detenzione, andando contro i principi costituzionali della limitazione della libertà personale e facendoci ripiombare ai tempi del fascismo, quando il carcere era consentito anche per fini amministrativi. Il risultato sarà un sovraccarico certo di profughi identificati  e un piano di redistribuzione molto incerto e con numeri ridicoli. Basti pensare che con le migliaia di persone che aspettano anche due anni per fare il colloquio per l’asilo in Italia, oggi sono partiti 19 – dico 19 – eritrei per la Svezia.
Si apre lo spazio per le domande. Arriva quella sul funzionamento dell’accoglienza.
“Dipende. Nei grandi centri, i profughi sono isolati e condannati ad un ozio deleterio. Ho conosciuto giovani brillanti e di buon umore ai primi colloqui, che ritrovavo irriconoscibili dopo appena qualche mese di centro d’accoglienza, fisicamente debilitati e psicologicamente depressi. Ben diversa è la situazione nelle piccole comunità che ospitano 10-20 persone, spesso famiglie che accolgono famiglie, con le quali si crea subito una confidenza, che genera possibilità di piccoli lavori. E anche un ricco scambio culturale, perché ci si parla, ci si conosce e ci si fida reciprocamente, iniziando così un vero percorso di integrazione. Sempre più località italiane stanno adottando questa formula di accoglienza diffusa, sostenuta da contributi dello Stato agli ospitanti, ma con costi minori e risultati decisamente più positivi
Poi c’è una domanda sulla consistenza reale del rischio di invasione.
“No, nessuna invasione – risponde Fachile – sfatiamo questa leggenda sia per il rapporto bassissimo tra migranti e residenti; sia perché il grosso dei flussi si riversa sui paesi confinanti. Sono pochissimi quelli che fanno l’  “attraversata” rispetto a quelli che scappano. Ma dobbiamo capire che questo fenomeno avrà una durata pluriennale. E che per essere affrontato seriamente ci vogliono progetti e fondi pluriennali. Tenendo sempre presente una regola fondamentale: se l’Europa esporta bombe, importa profughi”
10 Ottobre 2015
(*) Massimo Marnetto è coordinatore del Circolo di Roma di LeG

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