Il legame spirituale che manca in Europa

28 Settembre 2015

Se l’Unione Europea sia davvero unita è la domanda quotidiana di milioni di europei, la cui persistente identità nazionale è ancora di molto prevalente rispetto al senso della loro appartenenza europea.

In realtà, neppure ci accorgiamo che su punti fondamentali per l’unità europea, noi siamo stati e restiamo assai reticenti. Perché ci siamo uniti, e abbiamo, anzi, tanto allargato la nostra unità?
Eppure si tratta del nodo centrale della natura o qualità etico-politica dell’Europa in costruzione: un nodo insoluto. L’unione degli europei era un semplice modo di adattarsi alle mutate condizioni del mondo a metà ‘900? Era solo il modo di scongiurare per il futuro la prassi di guerre intestine che hanno logorato la posizione e la vita dell’Europa? Era dettata solo o soprattutto da convenienze economiche e materiali? Costruivamo una nazione europea, sia pure complessa come tante nazioni europee? Che significava su questo piano il passaggio dall’iniziale termine di Comunità all’attuale termine di Unione per indicare l’associazione dei Paesi europei?
Certo, la professione degli ideali di libertà e di giustizia e dei principii dei diritti dell’uomo e del cittadino, e la prassi della cooperazione internazionale nel quadro delle Nazioni Unite, non bastano a costruire una coscienza e una identità europea. Gli stessi principii e le stesse prassi sono proprie, ad esempio, anche degli Stati Uniti, che, tuttavia, individuano la loro identità storica e politica in un contesto ideale più ampio e profondo, per cui l’americano si riconosce ed è riconosciuto nel mondo come americano.
E l’Europa? L’Europa – fatta di nazioni di fortissima identità, patria delle idee e delle istituzioni liberali e democratiche, e per alcuni secoli centro e motore del progresso umano – cosa può essere di specifico in un mondo, grazie ad essa, in gran parte europeizzato?
Non è facile dare risposte a questi interrogativi. Bisogna, però, preoccuparsene. È per questo che la costruzione politica e civile europea in corso da più di mezzo secolo non ha ancora nella vita morale dei Paesi europei il riconoscimento necessario perché si possa parlare di Unione Europea.
Si poteva far meglio e correre di più? In realtà si è corso anche troppo, ma sempre secondo l’idea già di Robert Schuman: «L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa nascerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto». In tal modo, però, non è maturata neppure la «solidarietà di fatto» cui pensava Schuman, e che, comunque, certo non può bastare come vero cemento del processo di unificazione.
Su questa strada potremo ancora rafforzare i vincoli materiali dell’Unione, ma, malgrado tutti i vincoli materiali, economici o normativi che istituiremo, dovremo sempre constatare che ad essa, per dirla con parole di Goethe, fehlt , leider , das geistige band , manca, ahimè, il legame spirituale: il legame, cioè, morale e civico di una cittadinanza che costituisca realmente una comunità.
Deriva certamente da ciò molto dell’euroscetticismo, vera malattia infantile dell’europeismo. Basterà, per vincerla, l’«Europa debole», ossia un’Europa a molto debole base confederale, che propose Ralph Dahrendorf? Lo spessore della storia e della tradizione europea non consente e non richiede molto di più?
È anche a questi interrogativi che bisogna rispondere quando si parla di futuro dell’Unione, senza pensare che la coscienza europea del mondo politico e degli organismi dell’Unione e di una certa fascia della cittadinanza europea si ritrovi pure nella massima parte dei cittadini europei. E non si creda che sia solo un problema di maggiore contatto e comunicazione degli organismi europei con i cittadini. È una questione più profonda e difficile, meno tecnica e più morale e culturale in tutta l’estensione di questi termini.

Corriere, 28 settembre 2015

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