Il risveglio tardivo della minoranza PD

Il risveglio tardivo  della minoranza PD

Negli ultimi tempi stiamo assistendo ad un crescendo di dichiarazioni da parte di studiosi e commentatori che definiscono la linea politico- istituzionale di Matteo Renzi plebiscitaria, presidenzialista, autocratica, da uomo solo al comando, autoritaria. Quel che colpisce in queste dichiarazioni è che spesso provengono da persone che, quando nel marzo dell’anno scorso alcuni si permisero di mettere in guardia contro il rischio della nascita di un sistema autoritario, si stracciarono le vesti, gridarono all’intollerabile forzatura, mostrando tra l’altro di non conoscere la distinzione tra “autoritario” e “totalitario”.

Si potrebbe essere soddisfatti di queste tardive resipiscenze, se non fosse che in politica i tempi contano per chi agisce e per chi discute. Non è irragionevole pensare che la tempestiva creazione di un fronte culturale critico avrebbe potuto indirizzare le riforme istituzionali verso risultati più accettabili, considerando che erano venute proposte che andavano oltre il muro contro muro. L’occasione è stata perduta da parte di quelli che furono silenziosi o compiacenti. Ma pure da Renzi, che aveva a disposizione indicazioni che avrebbero consentito di ridurre il tasso antidemocratico dell’accoppiata tra legge elettorale e riforma del Senato.

Grandi le responsabilità della cultura, ma grandi pure quelle di chi, nelle sedi politiche, ha conosciuto un tardivo risveglio. Oggi la minoranza del Pd si è convertita all’intransigenza, si ingegna nel cercare varchi regolamentari nei quali far passare le sue proposte di modifica, ma è stata incapace di mettere a punto una ragionevole strategia nel momento in cui si approvava la legge elettorale e si avviava la lettura della riforma del Senato. Di nuovo incapacità di cogliere la rilevanza del tempo in politica. Non basta fare la buona battaglia, bisogna farla al momento giusto.

Comunque si valutino le vicende passate, è difficile negare che siamo di fronte ad una modifica della forma di governo, non accompagnata, come dovrebbe essere in democrazia, da una adeguata considerazione degli equilibri costituzionali complessivi. Problema non nuovo, perché il funzionamento del sistema era stato già gravemente alterato soprattutto attraverso le varie manipolazioni delle leggi elettorali. L’urgenza vera, allora, dovrebbe essere la ricostruzione di rapporti tra gli organi dello Stato tale da restaurare almeno gli equilibri perduti. Questa strada non è stata neppure presa in considerazione; i suggerimenti di modificare almeno alcuni aspetti del nuovo Senato per recuperare qualche brandello di garanzia sono stati respinti persino con tracotanza. Oggi la residua “battaglia” per tornare solo all’elezione diretta dei senatori può essere poca cosa, se non accompagnata da altre modifiche. Siamo in presenza di un effetto a cascata. Il Presidente del Consiglio finisce d’essere un primus inter pares e acquista un potere di pieno controllo del Governo. Il Governo declassa il Parlamento a luogo di registrazione.

La nuova combinazione Presidente del Consiglio-Governo-Parlamento consente al partito di governo, grazie al doppio effetto maggioritario della legge elettorale, di impadronirsi del controllo di organi di garanzia come la Presidenza della Repubblica e la Corte costituzionale. L’accentramento di poteri così realizzato rende superflua, almeno nelle intenzioni dichiarate dal Presidente del Consiglio, ogni forma di mediazione politico-sociale – dei sindacati, degli stessi partiti ridotti a macchine elettorali, delle istituzioni culturali, del sistema dell’informazione – e viene così cancellata la rilevanza di quel potere di controllo diffuso nella società che ha sempre giocato un ruolo essenziale nella vita delle democrazie.

Proprio negli ultimi tempi, e di nuovo dopo le ultimissime vicende romane, si è lamentata la perdita degli anticorpi civile e sociali che sono indispensabili per contrastare criminalità, corruzione, privatizzazione delle risorse pubbliche, fuga dal dovere di pagar le tasse. Ma quella perdita è andata di pari passo con l’indebolimento degli anticorpi istituzionali, rappresentati persino con ostentazione come un intralcio all’efficienza e alla rapidità delle decisioni. Qui hanno giocato un ruolo decisivo una cultura politica e una cultura costituzionale che non sono state capaci di declinare quei temi al di là della risposta sbrigativa e pericolosa dell’accentramento dei poteri. Non si sono degnate della minima attenzione le ricerche sulle difficoltà profonde della democrazia, sì che nella proclamata riforma costituzionale manca ogni significativo cenno alla partecipazione e a quella nuova organizzazione dei poteri sociali che va sotto il nome di “controdemocrazia”.

Tutto questo ha fatto sì che l’impresa riformatrice goda oggi di una legittimazione decrescente, che si aggiunge ad una delegittimazione più radicale di cui non si è voluto temer conto. Un cambiamento costituzionale così profondo viene realizzato da un Parlamento eletto con una legge dichiarata illegittima, constatazione che avrebbe dovuto almeno indurre alla massima prudenza e a muoversi sempre con il massimo consenso. Acqua passata? Niente affatto, perché si è costituito un precedente per modifiche costituzionali costruite come esercizio della forza.

A chi intende trasformare la critica in azione politica si oppone, con sempre maggiore insistenza, un solo argomento. State preparando il terreno propizio al successo di Salvini o di Grillo. Lasciamo da parte la non onorata storia di questo argomento, sempre sospetto di intenti ricattatori. Si deve riflettere, invece, sul modo in cui è stata concepita e attuata l’azione di governo. Non vi sono alternative – si è detto e si continua a dire. Muovendo da questa incerta certezza, si è adoperato il muro contro muro, tutti gli interlocutori critici sono stati considerati nemici. Una strategia che fatalmente erode il consenso per il Governo. La democrazia non può essere separata dall’esistenza di alternative, soffre ogni monolitismo e, quando si rende difficile il dialogo o non si accetta la costruzione di nuovi soggetti, si è responsabili dell’astensione di massa, della democrazia senza popolo, o del rivolgersi a chiunque sul mercato si presenti come alternativa.

La Repubblica, 25 agosto 2015

8 commenti

  • Pingback: Risvegli tardivi | SinistraOltre

  • Analisi lucida e ineccepibile quella di Stefano Rodotà, che tuttavia non vede ancora all’orizzonte la soluzione politica adeguata a una minaccia reale decisamente incombente. Mi chiedo insomma se la mobilitazione del dissenso in atto sia sufficiente a contrastare con qualche probabilità di successo una linea politica ed economica, quella del potere monocratico di diritto o di fatto, che non si regge certamente soltanto sulla capacità comunicativa di Renzi e neppure sul prestigio di Napolitano ma soprattutto sul supporto che ha ricevuto fin dall’inizio da parte dei cosiddetti poteri forti, ovverosia dell’establishement economico e finanziario, in Italia come nel resto di Europa. Basta dare un’occhiata alle prime pagine di oggi dei grandi quotidiani come il Corriere della Sera e la Stampa, imperniate sugli annunci al meeting ciellino di Rimini. Anche la presa di distanza della Repubblica è piuttosto vaga, oltre che tardiva. I referendum di Civati e di altri sono certamente un modo per dissodare il terreno, anche se oggi appare sempre più lontano il contesto di opinione che garantì il successo delle sinistre nel referendum costituzionale del 2006. Non credo che basterà opporre i modestissimi risultati del governo e accostare, come pure è possibile e giusto, la retorica delle promesse renziane sul fisco a quella berlusconiana del passato. E allora? Tornano in mente le parole del giudice Borelli: resistere, resistere, resistere. Provarci resta comunque un dovere per ogni buon democratico. Consapevoli che per rimuovere la delusione e la sfiducia accumulate in questi anni senza ricorrere al populismo è più che mai necessario presentare un’alternativa istituzionale e di governo abbastanza forte e credibile da convincere la gran parte dell’elettorato, quella che purtroppo non legge gli splendidi editoriali di Stefano Rodotà.

  • Certamente ineccepibile l’analisi del prof. Rodotà! Come tutte quelle che ci ha già offerto alla lettura e alla ponderazione.

    Peccato che non ci offra anche una ineccepibile proposta risolutiva!

    Peccato che anche “Coalizione Sociale” pare soffrire della stessa malattia della “tardiva” sinistra PD: l’annuncio è già vecchio di qualche mese e ancora nulla si sa di tattica e strategia.

    Ma si sa con assoluta certezza che il tempo scorre a favore di Renzi che, con qualche riforma portata cmq in porto e venduta a peso d’oro fino, anche se farlocco, con la solita sagacia comunicativa e con gli aiuti del collateralismo beneficiato, sposterà consensi alla causa governativa.

    Sig. Cancedda,
    purtroppo “resistere” non basta, purtroppo resistere serve solo a ritardare la sconfitta! Ce l’ha insegnato proprio la Resistenza che per arrivare alla Liberazione ha sferrato mille e mille attacchi.

    Ora Coalizione Sociale è il giusto inizio a cui bisogna con urgenza far seguire un progetto operativo che ricalchi quello di Podemos ( che vado diramando nel deserto ben prima di Podemos), e cioè: professori e non politici come guide; non solo Sinistra, ma tutta la Società Civile sofferente; non sinistra contro destra, ma sotto contro sopra, Società Civile contro casta!

    E poi andare oltre poichè noi abbiamo ANCORA la Costituzione che ci consente di non traguardare le elezioni, competizione quanto mai pericolosa, fatta di labili promesse e incerti programmi da campagna elettorale, alla quale la Cittadinanza ha ampiamente dimostrato di non voler più credere e che potrebbe amalgamare tutti i competitori in un giudizio assai negativo al proprio esame superficiale: “Sono tutti uguali!”.

    Non traguardare le elezioni, ma alla Sovranità Popolare REALIZZATA, non solo enunciata, per imporre al Parlamento, suddito e delegato, un’agenda non di fumose promesse, ma di progetti di legge secondo l’art. 71, con dentro tutto il rigore morale e culturale dei Costituenti, bollinato dai proff. Rodotà, Saraceno, Settis, Zagrebelsky, Carlin Petrini, Caselli, Gratteri e altri dello stesso spessore.

    Purtroppo decenni di sontuose analisi e uno sterminato numero e tipologia di manifestazioni non hanno fermato degrado e declino: pare proprio tempo di brandire la Costituzione per riportare la Repubblica lungo la rotta tracciata dai Costituenti!

    E bisogna fare presto!

  • Analisi espressa in modo civile – cosa decisamente rara al giorno d’oggi – che esprime valori, e nn solo “convenienze”.

  • Lucida e spietata l’analisi di Rodota’ ma, ha ragione Barbieti, dopo infiniti mesi di critiche alle peggiori riforme elettorali e costituzionali che qualsiasi governo della Repubblica potesse mai “sferrare” contro la nostra democrazia, ad oggi nessun soggetto politico vero e’ nato per contrastare questo scemo istituzionale da retrogusto autoritario anche se non totalitario. E se tardiva è stata resipiscenza della minoranza PD, risulta senza tempo la mancanza di coraggio di una classe dirigente già presente nel Paese (alcuni nomi li troviamo nel commento di Barbieri) ma incapace di sfidare il consenso popolare con un progetto politico che comprenda non solo riforme costituzionali e istituzionali rispettose della nostra Carta e ,più’ in generale, della nostra cultura democratica, ma un’idea di società alla cui definizione partecipino economisti illuminati (i cittadini prima della finanza? No allo smantellamento dello stato sociale?), rappresentanti delle istituzioni che sposino un programma condiviso, e che comprenda, tra l’altro, un rigoroso snellimento del numero dei nostri rappresentanti istituzionali, delle relative prebende e dei tempi di permanenza nelle istituzioni medesime. Questo è molto altro – compresa una seria e invalicabile Legge sul conflitto di interessi e sui vincoli partecipativi all’attività politica- le basi già enunciate da uomini come Rodota” al quale, dopo il sogno presidenziale, guardiamo con trepidazione (impazienza?). E si, bisogna fare presto.

  • …ma soprattutto san Rodotà
    illumina il Ferretti per carità.

    Nonostante l’assidua lettura
    non evolve, grande iattura!

    Libera lui dalla cecità
    che non gli consente alcuna verità!

    Guida Antonio su strada sicura
    verso la nostra evoluzione futura!

  • Me lo sono chiesto spesso. E sono giunto alla conclusione che Antonio Ferretti scrive perché non ha abbastanza carattere per non scrivere.

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