Gli scheletri delle ban­che tedesche

09 Luglio 2015

Deu­tsche Bank – tra il 2012 e il secondo tri­me­stre 2015 – ha dovuto pagare circa 10,5 miliardi di euro, una cifra enorme, per le con­tro­ver­sie con le auto­rità sta­tu­ni­tensi e euro­pee: restano aperte le accuse di mani­po­la­zione dei tassi di cam­bio e dei prezzi delle mate­rie prime, e di non rispet­tare le san­zioni Usa verso alcuni paesi.

Armadio Nel giu­gno scorso i due ammi­ni­stra­tori dele­gati di Deu­tsche Bank hanno annun­ciato le loro dimis­sioni. Deu­tsche Bank è la più grande di tutte le ban­che tede­sche e fino a poco fa era l’emblema del mira­colo tedesco.

Ma dal 2012 si trova nei guai. Aveva scarsi mezzi pro­pri, ha dovuto pro­ce­dere a due aumenti di capi­tale, la red­di­ti­vità è ancora oggi molto bassa e è piena di pro­blemi giu­di­ziari. Tra il 2012 e il secondo tri­me­stre 2015 ha dovuto pagare circa 10,5 miliardi di euro, una cifra enorme, per le con­tro­ver­sie con le auto­rità sta­tu­ni­tensi e euro­pee: restano aperte le accuse di mani­po­la­zione dei tassi di cam­bio e dei prezzi delle mate­rie prime, e di non rispet­tare le san­zioni Usa verso alcuni paesi.

Tanto che nel marzo 2015 il rego­la­tore ame­ri­cano le ha proi­bito di distri­buire divi­dendi a causa delle nume­rose carenze nella sua strut­tura del capi­tale, nel sistema di valu­ta­zione dei rischi, nei con­trolli interni — come rac­conta il nuovo libro del lea­der della sini­stra fran­cese Jean Luc Mélen­chon, Le hareng de Bismarck (le poi­son alle­mand) (Plon, 2015). Nell’aprile scorso la banca ha poi dovuto annun­ciare la ridu­zione dell’investment ban­king e la ces­sione della Post­bank, a suo tempo acqui­stata dal governo.

La crisi di Deu­tsche Bank è sin­to­ma­tica della fra­gi­lità del sistema ban­ca­rio tede­sco, che oggi pre­senta risul­tati eco­no­mici e finan­ziari molto nega­tivi a tutti i livelli, con situa­zioni che in diversi casi non sono troppo distanti dalla ban­ca­rotta. In Europa le ban­che tede­sche sono state tra le più toc­cate dalla crisi con circa il 40 per cento delle per­dite della zona euro nel periodo 2007–2009. Il sistema ban­ca­rio è poi riu­scito a recu­pe­rare almeno una parte dei pre­stiti impru­denti gra­zie all’intervento del governo, che da una parte ha immesso molti soldi nel sistema per favo­rire il sal­va­tag­gio di alcuni isti­tuti e dall’altra è riu­scito a mano­vrare in diversi casi a Bru­xel­les la par­tita delle ristrut­tu­ra­zioni finan­zia­rie dei paesi in dif­fi­coltà — Gre­cia innanzi tutto — riu­scendo a pro­teg­gere gli isti­tuti nazio­nali.

Nel caso greco i ver­bali del Fondo mone­ta­rio inter­na­zio­nale testi­mo­niano come la ristrut­tu­ra­zione del debito del paese medi­ter­ra­neo sia stata stu­diata in modo da far sì che una parte molto con­si­stente delle risorse desti­nate a “sal­vare” la Gre­cia siano finite nelle casse della ban­che tede­sche e francesi.

La con­cen­tra­zione era ini­ziata da tempo, con la Post­bank finita nelle mani della Deu­tsche Bank e poi riven­duta, e la Hypo­Ve­rein­sbank finita in quelle di Uni­cre­dit. La Dre­sd­ner Bank è entrata in dif­fi­coltà con lo scop­pio della crisi ed è stata pre­sto assor­bita dalla Com­merz­bank. Quest’ultima, avendo dige­rito male la fusione, è stata sal­vata dal governo tede­sco che ha dovuto a suo tempo inve­stirci 18,2 miliardi di euro. Per stare a galla l’istituto ha chie­sto, dal 2010 ad oggi, 17,4 miliardi di euro di capi­tali fre­schi ai suoi azio­ni­sti. Nel marzo del 2015 è stato costretto a pagare 1,5 miliardi di dol­lari per chiu­dere le inda­gini fede­rali sta­tu­ni­tensi che sta­vano esplo­rando il suo coin­vol­gi­mento in atti­vità di rici­clag­gio del denaro sporco. Nel frat­tempo la sua red­di­ti­vità resta molto bassa.

Ma sono le ban­che pic­cole e medie — come le Casse di rispar­mio — a pesare di più in Ger­ma­nia, con una quota vicina al 90 per cento del mer­cato. Esse svol­gono un ruolo fon­da­men­tale nel finan­zia­mento dell’economia locale, ma si tro­vano in con­di­zioni dif­fi­cili e hanno biso­gno di radi­cali ristrut­tu­ra­zioni. Anche diverse Lan­de­sbank — una sorta di isti­tuti regio­nali — sono in una situa­zione sostan­zial­mente fal­li­men­tare; sono state col­pite dalla crisi del sub­prime e le loro dif­fi­coltà, secondo cifre non uffi­ciali, sono costate al governo circa 23 miliardi di euro. La HSH Nord­bank ha biso­gno, secondo le stime, di circa 2,1 miliardi di risorse sta­tali e la Bayern LB regi­stra una per­dita di 1,32 miliardi in alcune operazioni.

I pic­coli e medi isti­tuti sono stret­ta­mente legati ai poteri poli­tici locali, e il governo tede­sco vuole gestire la ristrut­tu­ra­zione in fami­glia, senza che la Bce venga a curio­sare. Di qui le pres­sioni poli­ti­che di Ber­lino per fare in modo che all’interno dell’Unione ban­ca­ria l’attività di con­trollo della Bce fosse limi­tata alle ban­che più grandi. Il fatto è che il sistema tede­sco si fonda sulla per­si­stenza del modello della banca uni­ver­sale, sulla tra­di­zio­nale pros­si­mità tra ban­che e imprese, che si tra­duce in una rela­zione molto stretta tra impresa e banca di rife­ri­mento, la Hau­sbank, men­tre si è molto ridi­men­sio­nato l’intervento delle stesse ban­che nel capi­tale delle imprese. Ma pesa soprat­tutto lo stretto e per­verso legame tra gli isti­tuti di pic­cole e medie dimen­sioni e il sistema politico.

 9 Luglio 2015

il manifesto,  8 Luglio 2015

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