Roma. La sentenza sulle pensioni? «Molti problemi ». La spaccatura della Corte? «Brutto segno ». Costituzione tra equilibrio di bilancio e giustizia sociale? «Difficile ma necessario districarsi ». Ne parliamo con Gustavo Zagrebelsky.
Che cosa l’ha colpita di più, professore, nella sentenza della Corte sul blocco degli adeguamenti pensionistici? «Più il metodo che il contenuto della decisione ».
Iniziamo dal contenuto.
«Noi non sediamo alla Corte. Possiamo avere le nostre opinioni private, ma solo la Corte è abilitata a dire ciò che è e ciò che non è conforme alla Costituzione. Come opinione privata, mi conforta che dal principio dell’equilibrio di bilancio non si sia dedotto automaticamente un lasciapassare al libero arbitrio della politica nello stabilire a chi farne pagare il prezzo. Il legislatore deve sempre e comunque tenere conto dell’uguaglianza della giustizia, tanto più in quanto siano in questione diritti previsti a salvaguardia dei ceti più deboli».
Non sta dicendo una cosa ovvia?
«Non mi pare. Nel dibattito politico, l’appello ai conti, e ai conti conformi alle richieste dell’Europa e della finanza internazionale, rischiava di diventare la super norma costituzionale».
Quindi lei approva incondizionatamente la decisione?
«Non mi spingo fino a questo punto».
C’erano altri modi per conciliare finanza e diritti?
«Probabilmente sì. Gli strumenti della Corte sono tanti. Spetta ora al legislatore esplorare le soluzioni per tutelare le fasce sociali più deboli e al contempo evitare il collasso finanziario».
Questo significa che il seguito della sentenza non è automatico?
«Infatti. La Corte si è limitata — e non poteva fare diversamente — a dichiarare incostituzionale la norma della legge Fornero. Ma non ha escluso — né avrebbe potuto farlo — che interventi diversi sull’adeguamento automatico delle pensioni siano possibili, purché nel rispetto dei principi di giustizia stabiliti dalla Costituzione. Questa potrebbe essere l’occasione per un discorso generale di giustizia nell’ambito dei trattamenti pensionistici delle diverse categorie».
Scusi, ma i “tormenti” del governo su come adeguarsi alla sentenza, su come restituire i soldi e se restituirli tutti, dimostrano che la soluzione non è poi così facile.
«È ovvio che sia difficile. La Corte ha aperto la prospettiva di un risarcimento integrale ma, come ho detto, questo non è automatico. Il legislatore, nel rispetto dei diritti essenziali, che riguardano soprattutto gli indigenti, può fare scelte. È chiaro che queste scelte, rispetto al quadro prospettato dalla Corte, scontenteranno qualcuno. Tanto più in quanto per coprire i costi della sentenza si intenda toccare in pejus posizioni pensionistiche privilegiate».
Dal contenuto della sentenza al metodo.
La Corte si è spaccata sei contro sei, e ha vinto il fronte della bocciatura solo grazie al voto decisivo del presidente Criscuolo.
In questa procedura vede delle anomalie?
«Certo non violazioni di norme giuridiche. Ma non di sole norme vivono i giudici, tanto più i giudici supremi. Alle norme deve affiancarsi la prudenza… ».
… proprio da lei arriva un invito del genere?
«Prudenza non vuol dire timidezza o paura. Mi spiego con due esempi storici. Il primo riguarda la sentenza della Corte suprema degli Usa nel celeberrimo caso Brown del 1954 che pose fine alla discriminazione razziale nelle scuole. Nelle sue memorie il giudice Felix Frankfurter racconta che il presidente della Corte Earl Warren, desiderando su una causa così importante l’unanimità dei giudici, tirò per le lunghe fino a ottenere quello che desiderava. “Per le lunghe” significò attendere il decesso dell’unico giudice dissenziente, il giudice Vincon. A quel punto l’unanimità era fatta e la sentenza non poté essere delegittimata come fosse stata una scelta politica di parte. Sono infatti le assemblee parlamentari che decidono a maggioranza».
Curioso esempio aspettare il decesso. E l’altro?
«Questo riguarda la Corte italiana. In una causa in materia penitenziaria il giudice relatore aveva proposto una soluzione molto innovativa, dalle conseguenze difficilmente prevedibili. Il presidente era dalla sua parte. La Corte, come nel nostro caso, si era spaccata in due, ma proprio col voto del presidente sarebbe passata la soluzione proposta dal relatore. A quel punto che cosa accadde? Il relatore stesso ritirò la sua proposta, che pure era sul punto di passare, in base alla considerazione che le grandi decisioni costituzionali non possono essere prese con risicate maggioranze».
Begli esempi. Ma cosa ci dicono se rapportati al caso delle pensioni? Che la Corte doveva cercare comunque una maggioranza più ampia su una faccenda così delicata?
«Significa, in generale, che mentre nelle assemblee parlamentari la divisione maggioranza- minoranza è fisiologica, negli organi giudicanti deve considerarsi l’extrema ratio. Prima di giungere al voto che divide, prudenza vuole che ogni sforzo, dandosi il tempo necessario, debba essere fatto per costruire il consenso più ampio possibile».
Ciò implica che si debba scendere a compromessi?
«Compromesso non è necessariamente una brutta parola. Soprattutto si deve tener conto che, nelle grandi cause costituzionali, sono in questione più esigenze che devono rendersi compatibili tra di loro. È ciò che, nel linguaggio dei giuristi, si chiama bilanciamento. Nel caso nostro, il bilanciamento riguardava diritti sociali ed esigenze di finanza pubblica. È ovvia la conclusione: quando si bilancia ciascuna delle parti deve rinunciare ad ottenere tutto in maniera tale che l’altra parte ottenga qualcosa. Questo modo di procedere è quello conforme alla Costituzione che noi abbiamo, una Costituzione in cui deve convivere una pluralità di principi ».
Quale poteva essere il compromesso?
«La Corte dispone di numerosi strumenti per modulare gli effetti delle sue decisioni. Spetta alla sua saggezza dire quali, non alla mia».
La sentenza potrebbe astrattamente costare una ventina di miliardi allo Stato. La Corte se ne doveva far carico?
«Piaccia o non piaccia, l’articolo 81 della Costituzione che impone il principio dell’equilibrio di bilancio, induce a rispondere di sì. Ma spetta al legislatore distribuire il peso di questo equilibrio tra le categorie sociali in maniera conforme al principio di giustizia sociale. L’equilibrio di bilancio non può essere usato ciecamente».
La Repubblica, 9 maggio 2015
L’equilibrio di bilancio non fa una grinza. Ma anche la salvaguardia dei redditi deve essere garantita. Non solo i redditi bassi,ma anche quelli medi. Perchè i redditi bassi e medi italiani,se confrontati con quelli dei cittadini francesi,tedeschi,inglesi e spagnoli,diventano rispettivamente bassissimi e bassi. I sindacati hanno più volte denunciato le diverse migliaia di euro che i lavoratori e,soprattutto i pensionati,hanno perso negli ultimi anni. Peccato che mentre la maggioranza degli Italiani tirava la cinghia,il 10 % della popolazione continuava ad arricchirsi. E allora perchè non si è chiesto a questa ristretta ma facoltosa frangia della popolazione italiana di contribuire a ripianare il bilancio dello Stato,invece di penalizzare i soliti noti? Il sacrosanto principio morale di aiutare gli indigenti,vale per tutti coloro che sono in una situazione economica migliore. Ma VOGLIAMO UNA VOLTA PER TUTTE PARTIRE DA COLORO CHE POSSIEDONO GRANDI RICCHEZZE ??? Innanzitutto incassando le imposte non ancora riscosse (ci sono 550 MILIARDI DI Euro DI TASSE MESSE A RUOLO DAL 2000 AL 2012 IN ATTESA DI ESSERE INCAMERATE),e poi colpendo evasione,elusione e economia sommersa e illegale. Ieri sera nel corso di un’intervista a La7 un’economista rammentava che la riforma pensionistica Fornero fosse figlia dell’urgenza. Ma Monti non si era impegnato ANCHE per l’equità? Forse intendeva per equità la suddivisione dei sacrifici tra i soliti noti,perchè l’equità a 360 gradi non si è vista. Ed ora che ci sarebbe il tempo,perchè il governo Renzi non pensa a realizzare una più equa distribuzione della ricchezza,invece che a tagliare il già magro recupero del carovita?
Un intervento meditato e condivisibile quello di Zagrebelsky. Mi permetto solo di aggiungere che anche in sede parlamentare – dove vige il principio: chi ha la maggioranza decide – occorre pero’ che le decisioni sulle leggi di ambito costituzionale vengano condivise il piu’ possibile con le altre forze politiche di minoranza. In pratica, a differenza di Zagrebelsy o a completamento del suo pensiero, estenderei il principio della decisione all’unanimit’a (o quasi) anche alle decisioni del Parlamento sulle modifiche alla Carta Fondamentale.
Mi preoccupa il fatto che per difendere i diritti dei cittadini socialmente deboli debba intervenire la Corte invece che la politica. E non sempre ciò che è giusto a livello del diritto è giusto a livello sociale. L’assenza della politica dei diritti impedisce alla Corte di compiere il proprio lavoro in serenità.
La Repubblica del privilegio e del malaffare scricchiola
La sentenza n. 70/2015 della Corte costituzionale ha creato un certo imbarazzo tra i politici e i giuristi.
Elsa Fornero, ex ministro: “sentenza difficilmente comprensibile, rischia di far pagare il conto alle giovani generazioni”. Non è giusto equiparare gli stipendi del barbiere della Camera, del consigliere regionale e del professore universitario, oppure chiedere agli amministratori delle Ferrovie la restituzione della somma di € 4.564.139,00 erogata nel 2004 all’amministratore delegato “in palese disprezzo a ogni elementare criterio di buona amministrazione e di economicità, un rilevantissimo importo ‘a gratifica’ in nessun modo dovuto, non previsto da obblighi negoziali e del tutto sfornito di qualsiasi presupposto logico-economico” (Corte dei Conti: sez. giur.le Regione Lazio 1399/10). Le Ferrovie sono privatizzate!
Romano Prodi, ex presidente del Consiglio: “Con questa decisione la Corte interviene nella discrezionalità della politica. Ma è compito irrinunciabile del governo interpretare il modo in cui si esprima la solidarietà in un preciso momento storico”. Dal 1° gennaio 1948, l’oligarchia repubblicana ha messo una gran cura nel mantenere in vita l’ordinamento autoritario monarchico fondato sull’illegalismo: incertezza del diritto, tutela del privilegio, trasferimento a privati di ingenti somme di pubblico denaro. Nel 2011 il Governo coerentemente superò una grave crisi economica riducendo i consumi alimentari dei poveri.
Andrea Manzella, costituzionalista: “La Corte ha contestato la ‘insufficiente motivazione’ del provvedimento governativo. Ma non si può creare una voragine nei conti dello Stato solo per questo motivo: mi pare una leggerezza e una sproporzione tra motivazione ed effetti”. Che paghino i lavoratori!
Antonio Baldassarre, ex presidente Corte costituzionale: “Gli atti legislativi sono liberi, non è obbligatoria la motivazione. In passato, fra gli anni ’80 e ’90, ci furono altri casi clamorosi. Si decise allora che la Corte non potesse portare aggravi pesanti e che i valori di bilancio entrassero nei valori costituzionali”. Sono tanto liberi che dinanzi a certi provvedimenti alla casalinga sorge il dubbio se siano frutto dell’imbecillità o dell’indole violenta di politici e burocrati.
Augusto Barbera, costituzionalista, ex parlamentare: “La Consulta si è contraddetta: qualche mese prima, dichiarando l’illegittimità della Robin Tax, ne limitava gli effetti economici. Io credo che la Corte dovrebbe decidere, in questi casi, ‘pro futuro’”. Chi osa pensare che la rivalutazione delle pensioni fino a € 3000 non avrebbe prodotto «una irragionevole redistribuzione della ricchezza»?
Sabino Cassese, ex giudice costituzionale: “La decisione presa ha implicazioni molto gravi per il bilancio dello Stato … Un bilanciamento diritti-costi è necessario, in particolare quando vi sono diritti a prestazioni che non sono più sostenibili … E quando … i costi di una sentenza…
Questo articolo di Zagrebelski è un esempio sempre più raro di equilibrio, di antiretorica e di coraggio insieme.
Ringrazio il presidente Zagrebelsky per le sue parole anche su qualche punto non sono d’accordo, vedi l’art,81 della costituzione. Per me la legge è SI o NO, per me è fondamentale. Ma mettiamo da parte questa che è una opinione mia, Cerchiamo di vedere la cosa sotto un altro profilo che in questo momento avrebbe sull’opinione pubblica una valenza fondamentale. In situazione d’emergenza l’esempio deve venire dall’alto, siamo in crisi, bene facciamo noi pensionati un passo indietro, per avere quello che ci spetta sarebbe semplice, basta mettere in mora l’inps. Noi facciamo il sacrificio ma pretendiamo che questo sia fatto da tutti, da chi ci governa in testa e il nodo sta quì, c’è la giustizia ma c’è anche il buon senso popolare che non viene mai preso in considerazione. Avrei altro da dire ma lo spazio