Italicum, al danno di oggi si aggiunge quello futuro

07 Maggio 2015

Riforme. Regolamenti delle camere stracciati, deputati rimossi d’imperio, fiducia cieca, lo strappo di Renzi alla democrazia resterà nel tempo. Tutto secondo copione. L’Italicum è legge, le oppo­si­zioni non tutte scel­gono l’Aventino, la mino­ranza Pd valo­ro­sa­mente vota in ordine sparso, Renzi esulta. Ma su una cosa ha torto. Non importa solo fare, in qual­siasi modo: è deci­sivo anche il come.

Effetto dominoRiforme. Regolamenti delle camere stracciati, deputati rimossi d’imperio, fiducia cieca, lo strappo di Renzi alla democrazia resterà nel tempo.

Tutto secondo copione. L’’Italicum è legge, le oppo­si­zioni – non tutte — scel­gono l’’Aventino, la mino­ranza Pd valo­ro­sa­mente vota in ordine sparso, Renzi esulta. Ma su una cosa ha torto. Non importa solo fare, in qual­siasi modo: è deci­sivo anche il come.

I 334 voti a favore dimo­strano con cer­tezza almeno tre cose.

La prima: senza i numeri dro­gati dal pre­mio di mag­gio­ranza dichia­rato costi­tu­zio­nal­mente ille­git­timo l’’Italicum non avrebbe mai visto la luce.

La seconda: che la nuova legge elet­to­rale non esprime gli orien­ta­menti poli­tici oggi pre­va­lenti nel paese.

La terza: che dun­que tutte le for­za­ture e vio­la­zioni di prassi e rego­la­menti impo­ste per otte­nere il risul­tato sono state pre­va­ri­ca­zioni di una mino­ranza, e tali riman­gono. Il tutto per appro­vare una legge che – come abbiamo già ampia­mente dimo­strato su que­ste pagine — disat­tende in larga misura i prin­cipi affer­mati dalla Corte costi­tu­zio­nale nella sentenza 1/2014.

Ven­gono dall’’Italicum gravi danni col­la­te­rali. Sono tre i pas­saggi che più si stac­cano dalle best prac­tice di una demo­cra­zia moderna e avan­zata: il cosiddetto «emen­da­mento Espo­sito», che ha con­sen­tito il maxi­can­guro e ha fatto scom­pa­rire in Senato migliaia di emen­da­menti; la sosti­tu­zione for­zosa in Com­mis­sione dei dis­sen­zienti; le que­stioni di fidu­cia poste alla Camera. Scelte che pon­gono una seria minac­cia per il futuro dell’’istituzione Parlamento.

Nei casi indi­cati si è detto che esi­ste­vano pre­ce­denti. Qui biso­gna inten­dersi. Il richiamo al pre­ce­dente non è dato sol­tanto dalla mera ripe­ti­zione di un com­por­ta­mento tenuto in pas­sato. Il pre­ce­dente va visto anche nel con­te­sto in cui il com­por­ta­mento si colloca.

Quindi, una prima con­si­de­ra­zione di ordine gene­rale ci dice che dopo la sentenza 1/2014 qual­siasi pre­ce­dente doveva essere valu­tato con estrema cau­tela. La sen­tenza poteva anche –secondo l’’opinione pre­va­lente e il sug­ge­ri­mento della stessa Corte– non infi­ciare la legit­ti­mità for­male del par­la­mento in carica. Ma certo deter­mi­nava una situa­zione ecce­zio­nale e priva di riscon­tro nel pas­sato. Ne veniva ine­lut­ta­bil­mente che il rap­porto tra le forze poli­ti­che non era quello che avrebbe dovuto essere, per l’’indebito van­tag­gio nei numeri par­la­men­tari con­cesso ad alcune dal pre­mio di mag­gio­ranza dichia­rato ille­git­timo. Que­sto avrebbe dovuto togliere peso e signi­fi­cato ai pre­ce­denti volti a garan­tire un domi­nio mag­gio­ri­ta­rio dei lavori in Com­mis­sione e in Aula. Il ful­mine che col­pi­sce la mag­gio­ranza nel suo momento gene­tico col­pi­sce fatal­mente al tempo stesso il man­tra del suo diritto a governare.

Le Pre­si­denze delle Assem­blee avreb­bero dovuto inter­pre­tare rego­la­menti, prassi e pre­ce­denti con intel­li­genza isti­tu­zio­nale volta a tenere conto di tale ecce­zio­na­lità. Non l’’hanno fatto. Al con­tra­rio, hanno con­sen­tito un uso mai visto prima di stru­menti volti al governo mag­gio­ri­ta­rio dei lavori par­la­men­tari, senza affatto con­si­de­rare che nelle con­di­zioni date biso­gnava invece garan­tire in spe­cial modo ogni spa­zio di oppo­si­zione e dissenso.

Di qui l’’aver ammesso in Senato l’«emen­da­mento Espo­sito», con la caduta di migliaia di emen­da­menti. Essendo gene­ri­ca­mente rias­sun­tivo di prin­cipi poi spe­ci­fi­cati nel testo, poteva e doveva essere dichia­rato inam­mis­si­bile, in quanto privo di un pro­prio con­te­nuto nor­ma­tivo. Da qui l’inerzia di fronte a sosti­tu­zioni for­zose di com­po­nenti di com­mis­sione, al dichia­rato scopo di supe­rarne il dis­senso. La libertà di cia­scun par­la­men­tare è pie­tra ango­lare dell’’istituzione par­la­mento, e rimane affi­data per la tutela al pre­si­dente dell’’assemblea.

Da qui, infine, le que­stioni di fidu­cia nono­stante il diritto di richie­dere il voto segreto sulla legge elet­to­rale san­cito dal rego­la­mento Camera. Su que­sto punto in spe­cie lo stesso discorso di De Gasperi sulla fidu­cia per la legge truffa nel 1953 —citato in que­sti giorni sulla stampa– ci dice per­ché in quella lon­tana vicenda non poteva vedersi alcun precedente.

Un Renzi non vale un De Gasperi. L’’avevamo sospettato.

Al danno di oggi si aggiunge quello futuro, se quanto è acca­duto diventa a sua volta pre­ce­dente. Sarà facile bloc­care ogni ten­ta­tivo di oppo­si­zione o dis­senso attra­verso emen­da­menti. Non dovrà nem­meno sco­mo­darsi il governo: basterà un par­la­men­tare attento ai voleri del capo e abile nei rias­sunti. Si potrà imba­va­gliare chiun­que alzi la voce nel pro­prio gruppo, sem­pli­ce­mente lascian­dolo fuori della porta al momento della deci­sione. E si è messo alla mercé del governo attra­verso il voto di fidu­cia il diritto al voto segreto a richie­sta già ridotto a mate­rie tas­sa­ti­va­mente deter­mi­nate. Pro­prio nel momento in cui ne veniva col­pito il fon­da­mento con la sen­tenza 1/2014, alla mag­gio­ranza nume­rica in par­la­mento sono stati con­sen­titi stru­menti di ampiezza inu­si­tata rispetto al passato.

Incombe sulle assem­blee elet­tive lo spet­tro di una dit­ta­tura di mag­gio­ranza, per di più dro­gata dal sistema elet­to­rale e pie­gata sul lea­der. Renzi twitta: basta dire no, avanti con umiltà e corag­gio. A dire il vero, fin qui abbiamo visto solo arro­ganza e pre­va­ri­ca­zione, e tanti sì estorti con ogni mezzo.

Rimane la domanda: ma un’assemblea di lan­zi­che­nec­chi che non riflette il paese reale, a che serve? Al più, è buona a occul­tare i con­flitti, non certo ad affron­tarli. È come ramaz­zare l’’immondizia sotto il tap­peto. E quindi con­cor­diamo con Renzi quando a Milano dice agli impren­di­tori che l’’idea di fondo dell’’Italicum –cer­tezza imme­diata di chi vince e governa— non è par­ti­co­lar­mente geniale. Anzi, è del tutto sciocca.

Il Manifesto, 6 maggio 2015

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