Nel giorno del «sì» alla nuova legge elettorale e del giubilo di Renzi e del suo governo, arriva una doccia gelata dal Governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. Intervenuto a sorpresa alla Luiss alla presentazione del libro di Riccardo Varaldo, “La nuova partita dell’innovazione”, Visco ha puntato il dito contro la piaga principe che affligge l’Italia: la mancanza di lavoro. E non ha usato parole tenere, prefigurando lo spettro di una «disoccupazione di massa».
Visco: «Rischiamo disoccupazione di massa» ? Il futuro dell’occupazione nel nostro Paese «resta difficile», ha spiegato Visco. E la colpa va attribuita all’incapacità dell’Italia e delle sue imprese di innovare, anche a causa dei disincentivi a investire in capitale umano. «L’innovazione crea nuovi lavori – ha sostenuto il Governatore – ma senza creare le condizioni per fare quei lavori, rischiamo una disoccupazione di massa in un tempo di transizione che non sarà così breve».
«La flessibilità freno agli investimenti in innovazione»?«È un dato di fatto – ha spiegato Visco – che la popolazione italiana è altamente in ritardo nel cogliere i vantaggi delle nuove tecnologie». Serve «capacità di usare competenze diverse», serve un investimento sul capitale umano che in Italia non è avvenuto. E qui Visco ha puntato il dito contro l’interpretazione nostrana della flessibilità del lavoro: «Alle imprese non è convenuto investire su quelli che più sanno». «Uno dei maggiori disincentivi a investire» deriva a suo avviso «dal modo in cui abbiamo reso flessibile il mondo del lavoro: per una piccola impresa che non aveva possibilità di fare investimenti è convenuto assumere con contratti part-time e precari giovani pagati poco per fare le stesse cose che facevano gli anziani».??«In Italia le imprese nascono piccole e rimangono tali» ?Visco ha anche sottolineato «i grandi successi fatti nel ridurre la fiscalità sul capitale di rischio» ma ha bollato come «drammatico il fatto che non vi sia informazione sufficiente neanche da parte di chi potrebbe avvantaggiarsene». La «paura del cambiamento, paura del futuro» vince su tutto. E così «non è vero che in Italia nascono meno imprese che negli Stati Uniti o che ne muoiano di più»: la differenza è «che mentre tutte le imprese nascono piccole, in Italia come negli Stati Uniti, in Italia un’impresa di 10 dipendenti dopo due anni ne ha 12, negli Stati Uniti ne ha 26». Una «differenza clamorosa».
Il Corriere della Sera, 5 maggio 2015