A mettere insieme le parole di Fabio Tortosa del 14 aprile 2015, i circa 200 “Mi piace” di suoi colleghi e di qualche dirigente della Polizia di Stato, la sentenza della CEDU del 7 aprile sulla tortura alla scuola Diaz, e le parole del funzionario di PS Fournier che, presente ai fatti definì l’accaduto una “macelleria messicana”, non vengono solo i brividi a tutti i “beceri perbenisti che crediamo ancora nei regolamenti, nelle leggi, nella Costituzione o persino nella Convenzione dei diritti dell’uomo” come ha detto su La Repubblica Sebastiano Messina il 15 aprile 2015.
Non solo brividi, ma una seria , serissima preoccupazione istituzionale, perché, se anche ( ma temiamo fermamente che non sia così) il poliziotto Fabio Tortosa fosse sincero nel rivendicare orgoglioso l’irruzione nella scuola Diaz nella notte tra il 21 e il 22 luglio 2001, respingendo come infondata l’accusa di aver concorso al massacro di 66 persone che vi dormivano, perché a suo dire, massacro non vi fu o egli non lo vide, quel che SPAVENTA è che in lui non abbiano fatto breccia né le tremende testimonianze delle vittime al processo per quei fatti orribili, né la successione delle sentenze che accertarono quegli ignobili delitti, fino alla Cassazione, né la pronuncia della CEDU, in Italia di rango inferiore solo alla nostra Corte Costituzionale.
Ma soprattutto, SPAVENTA che ci siano circa 200 poliziotti di vario grado che la pensano come lui e che lo approvano.
Infatti dobbiamo domandarci se le parole di Gramellini, sulla Stampa del 15 aprile, con le quali vorrebbe dar voce alla “maggioranza dei colleghi di Tortosa… che sarebbero orgogliosi di essere i custodi armati della democrazia.. che è tale quando la polizia difende le persone, non quando le persone devono difendersi dalla polizia” rispondano a verità.
Poiché queste parole non sono mai giunte.
E il dubbio drammatico di queste ore è che “ per una parte non sappiamo quanto grande della Polizia di Stato quella del 21 luglio 2001 non fu una notte di vergogna ma un’impresa eroica” (Sebastiano Messina, La Repubblica 15.4.15).
Già: QUANTO GRANDE? Ma soprattutto: PERCHE’?
Ed ecco entrare in campo due enormi questioni.
Poiché non sappiamo cosa succede nelle scuole di formazione degli apparati di sicurezza, è assolutamente indispensabile che intervenga la legge a disciplinarne severamente l’accesso, la permanenza e le modalità culturali della formazione.
E non solo: è altrettanto necessario che la legge intervenga per accertare chi, come e quanti siano coloro che negli apparati di sicurezza dello Stato non hanno contezza, se non in modo distorto ed eversivo e contrario ai principi costituzionali, del potere e del dovere che grava su di essi.
E ciò perché, di fronte a un ordinamento dello Stato avviato ad avere un Parlamento scarsamente rappresentativo delle scelte degli elettori, attraverso una legge elettorale che riserva ai vertici le nomine degli eleggibili, e sotto il vento di una volontà culturale che spira verso l’imposizione del vincolo di mandato, è estremamente necessario che sia garantita l’esistenza dei “Checks and balances”, tanto più radicati nelle istituzioni, quanto più forti sono i poteri che le costituiscono.