La conversione alla realtà

14 Aprile 2015

Roberta De Monticelli Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

C’è un fenomeno talmente appariscente che non lo vediamo più. Grande come un monumento – talmente familiare che diventa invisibile. O forse è invisibile come l’aria, o come l’acqua per i pesci. Perché ci nuotiamo dentro, come pesci nell’acqua. Chiamiamolo con il suo nome. E’ una specie di conversione di massa. Ma non a Dio, e neppure al nulla. Non è un’esaltazione di massa, o un suicidio di massa, come la storia umana ne ha visti. E’ qualcosa di apparentemente più banale. E’ una conversione alla realtà.

Questo fenomeno è l’appiattimento del dover essere sull’essere, del valore sul fatto, della norma sulla pratica comune anche se abnorme, e in definitiva del diritto sul potere. “Tutto quel che è reale è razionale” – dice il filosofo che dà ragione alla forza, purché vinca

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C’è un fenomeno talmente appariscente che non lo vediamo più. Grande come un monumento – talmente familiare che diventa invisibile. O forse è invisibile come l’aria, o come l’acqua per i pesci. Perché ci nuotiamo dentro, come pesci nell’acqua. Chiamiamolo con il suo nome. E’ una specie di conversione di massa. Ma non a Dio, e neppure al nulla. Non è un’esaltazione di massa, o un suicidio di massa, come la storia umana ne ha visti. E’ qualcosa di apparentemente più banale. E’ una conversione alla realtà.

Questo fenomeno è l’appiattimento del dover essere sull’essere, del valore sul fatto, della norma sulla pratica comune anche se abnorme, e in definitiva del diritto sul potere. “Tutto quel che è reale è razionale” – dice il filosofo che dà ragione alla forza, purché vinca. “Tutto quello che è reale è normale”, dice il cinismo – che ha permeato il linguaggio comune. Alla parola “normalità”, nel suo uso corrente, non è rimasta più neppure una traccia di quello fra i suoi significati che discendeva direttamente dalla parola “norma”. Normale è ciò che si fa, in particolare contro le norme. Corruzione a norma di legge: non è solo il titolo di un bel libro di Barbieri e Giavazzi sulle Grandi Opere, ma è il nome più generale di quello che ci accade. Tagliamo ormai sistematicamente i vestiti sulla misura delle gobbe. Pare che tornerà presto fuori uno dei vestiti gobbi più carini proposti dal governo Renzi: la modica quantità di frode fiscale.

Normali sono gli abusi e i soprusi, i condoni e i perdoni, gli annunci e le smentite, far  promesse e non mantenerle,  trafficare con le mafie e governare, illimitata corruzione e infinita impunità, evadere o eludere le tasse e potersene vantare, esaltare la concorrenza e truccare le gare d’appalto, lodare la meritocrazia e promuovere soltanto parenti o allievi propri, sedere in un parlamento dichiarato illegittimamente eletto da una corte costituzionale e riformare la costituzione, prendere voti con un programma e governare con quello opposto, operare nel regime del potere visibile che è una democrazia e governarla con patti di cui non è dato conoscere i contenuti, esaltare la bellezza nel marketing turistico e distruggerla a furia di incuria e cemento…. Ecco. Anche la distruzione e dissipazione di bellezza che è in atto in questo paese è a norma di legge. Nella sua natura di valore intrinseco e non strumentale la bellezza serve anche a puntino per  sottolineare in che cosa, specificamente, consiste l’erosione dell’idealità. Leggere l’ultimo libro di Tomaso Montanari, Privati del patrimonio (Einaudi 2015) per credere.

L’Italia non è solo il paese dei dissesti ambientali che fanno vittime ogni anno, dei territori avvelenati dalle discariche abusive, delle residue industrie  che nessun governo costringe ad applicare le più elementari normative a tutela della salute pubblica. E’ anche il paese che ha sconciato il volto di alcune delle più belle città del mondo. E’ il paese  del Sistema Incalza. Oltre che dalle grandi opere inutili che sventrano le montagne o sfigurano le lagune, è afflitto dalla sistematica distruzione dei litorali, delle dune, delle pinete che vi si affacciano, dalla demenziale proliferazione dei cosiddetti porti turistici, puri pretesti all’edificazione sfrenata, finanziati a volte addirittura coi soldi pubblici stanziati per la difesa dei litorali dall’erosione marina. E’ il paese che con l’aiuto delle amministrazioni locali  ha ridotto a discariche di veleni alcune delle sue spiagge più belle. E’ il paese che svende il marmo delle Apuane a prezzi vilissimi per una produzione ignobile, distruggendo a poco a poco i profili che i più vecchi fra noi hanno ancora nel cuore.

Ricorderete la scena del Presidente del Consiglio che si fa venir sonno soltanto a nominare la parola “Soprintendenze”: già alla terza sillaba, dice, uno casca addormentato. L’ha detto e l’ha scritto: ma non è una battuta, è il preciso progetto di smantellare il sistema delle Soprintendenze per trasformarlo in quello delle Fondazioni, che – dal Museo Egizio di Torino fino al Maxxi di Roma sono esempi disastrosi di pura e semplice lottizzazione politica del patrimonio. Né Stato Paternalista-Custode né efficienza economica privatistica, ma molto peggio di entrambe le cose: appropriazione privata di risorse pubbliche, tramite loro concessione da parte delle consorterie politiche alle consorterie amiche. E’ parte integrante del progetto massacra-paese che hanno chiamato Sblocca-Italia. Sblocca: proprio perché così chi ci si fosse opposto sembrasse un “bloccatore”, uno che mette le pastoie, uno ossessionato dalla conservazione.

(Gli imbrogli di linguaggio sono una delle più sottili forme di corruzione di un bene pubblico – il primo dei beni pubblici: la nostra lingua. E con essa si corrompono la logica, il senso critico, le distinzioni. Un “conservatore” di museo lo impallina il suo nome: via, via, abolire! Svoltabbuona!)

Tutto questo appare ancora irrilevante a molti, troppi di noi. Ma perché? Piero Calamandrei  nel lontano 1954 parlava  di  “…questa scissione fra popolo e Stato, per cui il popolo ha sentito lo Stato come una oppressione estranea, come una tirannia, come un nemico che stava al di fuori e al di sopra di lui”. Oggi non è più così:  quando il senso dello Stato come oppressione estranea è espresso da chi lo governa, come avviene oggi, non è nei confronti dello Stato la sfiducia, ma nei confronti dell’idealità che uno Stato dovrebbe incarnare. Sono gli stessi uomini di Stato che hanno smesso di credere – semmai in Italia abbiano creduto – al valore e all’altezza del loro servizio. Forse sotto sotto è sempre stato così, in Italia. Don Chisciotte è morto per la Repubblica, ma a governarla è andato Sancho Panza. Ma no, molto molto peggio. C’è andato don Rodrigo, insieme a don Abbondio, con l’aiuto di Scarpìa….. Ma perché?

A proposito di eroi morti per la giustizia o di Resistenza. Siamo abituati a legare l’espressione “banalità del male” ai totalitarismi del secolo scorso, alle figure dei gerarchi nazisti o fascisti. Ma questo è sbagliato. Lo stesso errore che hanno fatto i tantissimi che hanno reagito con scherno e incredulità quando “Libertà e giustizia” ha cominciato a denunciare, un anno fa, la svolta autoritaria. Perché tutti legano alle parole immagini del passato, e non vedendo in giro manganelli e fez  credono che siano esagerazioni di gufi e cornacchie. Ma è sempre lo stesso sbaglio. Come i valori non sono cose della tradizione, ma dato nuovo d’esperienza quotidiana, così i disvalori non sono mai gli stessi di prima. Quello che resta uguale, è solo la nostra colpa. La cieca e dissennata assenza, la desistenza di cui parlava Calamandrei. Che poi è la banalità del male. Cioè l’auto-destituzione del soggetto morale in noi, che chiude gli occhi per non vedere e non sapere, quando non li chiude per poter partecipare al bottino. Della realtà che avanza ha colpa, come al solito, non chi sta al potere, ma chi lo regge, sorregge e legittima: noi. Se lo Stato buono siamo noi, siamo noi anche lo Stato cattivo, quello che sopprime i vincoli di legalità per rafforzare i vincoli di consorteria. L’Articolo 1 della nostra Costituzione dice che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. C’è un’ovvia interpretazione che magari non piacerà ad alcuni, ma credo che sia quella buona. La suggerì Gherardo Colombo. E’ una Repubblica fondata sul lavoro della cittadinanza. Sulla veglia, l’attenzione, l’impegno, la presenza dei cittadini. Tutte cose faticosissime. Senza le quali, la costituzione si svuota di senso: a quel punto, rottamarla è facilissimo. Come stanno facendo ora.

Nata a Pavia il 2 aprile 1952, è una filosofa italiana. Ha studiato alla Normale di Pisa, dove si è laureata nel 1976 con una tesi su Edmund Husserl.

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