«Abbiamo avviato un percorso. Peccato per qualche intervento che ha complicato la giornata e non ha aiutato…», sospira Stefano Fassina, facendo riferimento alla riunione di sabato delle minoranze Pd e al discorso di D’Alema. Dando voce a un fastidio che è condiviso da molti della minoranza per l’intemerata dell’ex premier: perché se Matteo Renzi risponde all’attacco dalemiano alla conduzione «arrogante» del Pd e all’invito fatto alle minoranze di assestare «colpi» che «lascino il segno» dicendo in nu’intervista a «Repubblica» che si tratta di «espressioni che stanno bene in bocca a una vecchia gloria del wrestling», le anime della minoranza registrano a malincuore come un’iniziativa nata per cercare un’unità sia finita invece sui giornali per le accuse durissime di D’Alema a Renzi («una riunione importante – l’ha definita il presidente del Pd Orfini – in parte rovinata da chi ha tentato di trasformarla in un incontro di lotta nel fango»).
E la proposta di D’Alema di una associazione che rianimi la sinistra viene più o meno gentilmente rispedita al mittente. Da Fassina («le proposte le facciamo noi, non D’Alema») ad Alfredo D’Attorre («di associazioni ce ne sono tante, può essere interessante creare una rete purché l’obiettivo sia quello di restare nel Pd») al leader di Area riformista, Roberto Speranza: «Qualsiasi cosa possa dare un segnale di uscita o indebolimento del Pd è sbagliata», chiarisce. Perché loro, come ha sottolineato nel suo intervento, a qualsivoglia ipotesi di scissione dicono «no no no». Anche per questo, per evitare di alimentare suggestioni di adesione o vicinanza alla «coalizione sociale» di Landini, è probabile che da Area riformista non molti parteciperanno alla manifestazione della Fiom di sabato 28: anche chi, come D’Attorre, sfilò il 25 ottobre scorso, oggi si sta interrogando se andare o «se sia più utile che mantenga il suo carattere più sociale». Ma, a dimostrazione della frammentarietà delle posizioni, diversa valutazione hanno fatto altri dem: Fassina ci sarà, e così Rosy Bindi, «non possiamo rassegnarci a chiamare di sinistra un governo che non fa cose di sinistra: il 28 sarò in piazza».
La Stampa – 23.Marzo.2015