“Tra la P2 e l’uomo forte. Così sono nate le riforme. Il popolo affascinato dai capi”

01 Marzo 2015

Silvia Truzzi

Non è strano che la seconda giornata del convegno di Libertà e Giustizia si svolga all’Aula Battilani, un tempo teatro della rivolta dei Ciompi, lavoratori poverissimi che alla fine del 1300 insorsero contro chi li governava e li aveva affamati. Cosa ottennero? Di partecipare alla vita pubblica. Ed è esattamente di questo – di partecipazione, rappresentanza e democrazia – che si è parlato nella due giorni fiorentina con tantissimi interventi: da Gustavo Zagrebelsky a Barbara Spinelli e Stefano Rodotà, da Nando dalla Chiesa, a Marco Travaglio, Sandra Bonsanti, Lorenza Carlassare e Paul Ginsborg.

2015-02-28 16.35.51Non è strano che la seconda giornata del convegno di Libertà e Giustizia si svolga all’Aula Battilani, un tempo teatro della rivolta dei Ciompi, lavoratori poverissimi che alla fine del 1300 insorsero contro chi li governava e li aveva affamati. Cosa ottennero? Di partecipare alla vita pubblica. Ed è esattamente di questo – di partecipazione, rappresentanza e democrazia – che si è parlato nella due giorni fiorentina con tantissimi interventi: da Gustavo Zagrebelsky a Barbara Spinelli, da Nando dalla Chiesa a Marco Travaglio, Sandra Bonsanti, Lorenza Carlassare e Paul Ginsborg.
“L’efficienza e la rapidità delle decisioni economiche prevalgono su processi democratici ritenuti troppo lenti e incompetenti”, ha detto Barbara Spinelli, scrittrice, giornalista ed eurodeputata de l’Altraeuropa. “Gli effetti di questa decostituzionalizzazione li tocchiamo con mano in Italia. Il Piano di rinascita democratica di Gelli (redatto forse non a caso in concomitanza con il rapporto della Trilaterale) è stato fatto da Craxi, poi da Berlusconi, infine da Matteo Renzi”. Ed è ben strano che riforme tanto capitali per la vita democratica – come la legge elettorale e il nuovo assetto del Senato – siano portate avanti da un Parlamento su cui grava un fortissimo sospetto di legittimità, a causa della sentenza della Consulta sul Porcellum. Molti nodi vengono al pettine nell’orgia del riformismo a tappe forzate, ma restano le tare congenite. L’uomo forte, per esempio: “Abbiamo vissuto con Berlusconi una spinta autoritaria. Renzi resta in quella stessa tradizione: i risultati del renzismo sul processo sono incredibili”, ha spiegato lo storico Paul Ginsborg. “Il divario tra la superficialità della proclamazione dell’imminente riforma e ciò che davvero avviene nella realtà è enorme. Il premier parla di bellezza, di arte, di patrimonio culturale: io lavoro nella Biblioteca Nazionale di Firenze, dove da mesi piove perché il soffitto non è stato riparato. Le risorse delle grandi istituzioni culturali del Paese sono state ridotte all’osso e contemporaneamente dobbiamo sopportare i continui slogan governativi”.
Di “popolo affascinato dai capi”, ha detto anche Lorenza Carlassare, emerito di Diritto costituzionale a Padova, che avverte: “La democrazia non è compatibile con i capi”. E ripercorre alcuni passaggi delle riforme elettorali. A cominciare dalla famosa “legge truffa” del 1953, cui forse, visti i recenti sviluppi, dovremmo chiedere scusa e ritirando l’ingannevole appellativo. “Era molto più democratica dell’Italicum perché il premio di maggioranza si otteneva avendo almeno il 50 per cento. Se non si raggiungeva questa soglia, non scattava. Ma questo Italicum è più legato alla legge Acerbo del 1923”, per cui il premio di maggioranza scattava con il 25 per cento garantendo al partito più votato i due terzi dei seggi. Ma quali sono gli affetti della sovrarappresentanza delle liste di maggioranza relativa? Il principio di uguaglianza del voto in Costituzione vale non solo in entrata ma anche in uscita, “cioè riguarda anche l’esito del voto e quanto rispecchia la volontà del popolo”. “È vero”, conclude la costituzionalista, “che la soglia di sbarramento è stata abbassata, ma il pluralismo è comunque impedito visto il premio di maggioranza. Tutto è fatto in modo da essere annullato di nuovo dalla Corte costituzionale”. Quanto agli anticorpi verso quella che Gustavo Zagrebelsky aveva definito la “politica unica”, c’è ben poco in cui confidare. “Perché l’informazione si è assegnata il compito di fare da cassa di risonanza del potere”, ha spiegato il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio. “Sfiorando spesso il ridicolo, perché ogni comportamento banale, di chiunque occupi un posto di potere, diventa immediatamente straordinario. Mirabile. Ovunque la stampa bastona i governi, da noi le opposizioni. Con cui di solito l’informazione si allea. Perfino Mussolini mandava telegrammi ai prefetti chiedendo di intervenire presso i giornali troppo adulatori. Succede ormai che le dichiarazioni dei ministri escono dalle virgolette e diventano verità che non hanno bisogno di essere messe in discussione”.
L’incessante canto delle res gestae dei potenti e il tradimento della funzione di vigilanza hanno un costo alto. “Dovrebbero fare”, ha concluso Travaglio, “una legge a tutela dei cittadini sulla responsabilità civile dei politici, visti gli incalcolabili danni provocati da questa classe dirigente. Ma nessuna assicurazione al mondo sarebbe disposta a garantire con una polizza”.

Il  Fatto Quotidiano

 

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