Il decreto Renzi salva l’Ilva dai risarcimenti alle vittime

05 Febbraio 2015

Il gelo è arrivato ieri mattina, quando il gup del tribunale di Taranto, Vilma Gilli, ha accolto le eccezioni sollevate dai legali di Ilva spa, di Riva Fire e di Riva Forni Elettrici: le tre società sono escluse dalla responsabilità civile. In caso di condanna, non dovranno risarcire le vittime, perché l’ultimo decreto del Governo Renzi – equiparando di fatto l’amministrazione straordinaria al fallimento – le mette al riparo dalle pretese risarcitorie. Le parti civili, in caso di condanna, potranno rivalersi sui singoli imputati, oppure rivolgersi al Tribunale fallimentare di Milano.

 Il gelo è arrivato ieri mattina, quando il gup del tribunale di Taranto, Vilma Gilli, ha accolto le eccezioni sollevate dai legali di Ilva spa, di Riva Fire e di Riva Forni Elettrici: le tre società sono escluse dalla responsabilità civile. In caso di condanna, non dovranno risarcire le vittime, perché l’ultimo decreto del Governo Renzi – equiparando di fatto l’amministrazione straordinaria al fallimento – le mette al riparo dalle pretese risarcitorie. Le parti civili, in caso di condanna, potranno rivalersi sui singoli imputati, oppure rivolgersi al Tribunale fallimentare di Milano.
    L’ipotesi del risarcimento non scompare del tutto, ma diventa farraginosa, e anche rischiosa: non è detto che i familiari possano ottenere ciò che chiedono. E vedremo perché. “Decreto salva Ilva? Chiamiamolo con il suo vero nome: è l’ennesimo decreto ‘ammazza gente’”, commenta Amedeo Zaccaria, padre di Francesco, morto a 29 anni su una gru, lavorando nell’Ilva. “È l’ennesima manovra politica perché i Riva possano risparmiare soldi sulla pelle delle persone. Da quando ho perso mio figlio, ho perso anche la fiducia in qualsiasi istituzione, ho avuto un infarto per la rabbia accumulata in questi anni. La realtà è semplice: c’è chi all’Ilva ha fornito il carbone. Bene, da padre le dico che oggi anch’io mi sento trattato alla stregua di un fornitore. Il fornitore di una vita umana: quella di mio figlio, che vale quanto il carbone, se non di meno”. E quindi: da ieri, la strada per ottenere il risarcimento, si trasforma in un penoso percorso a ostacoli, come se già non bastasse la pena delle vittime e dei loro famigliari. Parliamo dei famigliari degli operai morti negli incidenti sul lavoro, o ammazzati dal cancro, oppure degli allevatori che hanno dovuto abbattere centinaia di capi di bestiame, dei miticoltori che hanno perso il lavoro, a causa dell’inquinamento che ha avvelenato il mar Piccolo e riempito di diossina le sue cozze. “Due casi di tumore in più all’anno… una minchiata…”, minimizzava Fabio Riva, al telefono, leggendo una relazione tecnica dell’Arpa. “È la morte del diritto e della democrazia – commenta Angelo Bonelli, portavoce nazionale dei Verdi, anch’essi tra le circa 800 parti civili – negare i risarcimenti ai parenti delle vittime e alle altre parti civili significa condannarli ancora a morte. Questa norma consente alle aziende che hanno realizzato enormi profitti sulla salute di operai e cittadini di poter conservare i propri tesori nei conti correnti bancari. Grazie a un provvedimento dello Stato italiano, da oggi, viene vanificato il principio che chi inquina paga”. Oggi il dossier Ilva sarà nuovamente sul tavolo di Palazzo Chigi: è previsto un vertice con il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, per definire gli emendamenti al decreto all’esame del Parlamento.
 Ma nel frattempo, da ieri, le tre società dei Riva sono escluse dal risarcimento per le vittime nel processo penale in corso, nel quale Nicola e Fabio Riva sono accusati di associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale: l’Ilva è entrata in amministrazione straordinaria, mentre le altre due società, al momento dell’incidente probatorio del 2012, non erano presenti.
 È in base a questo mix, tra il decreto Marzano e l’assenza nell’incidente probatorio, che le società approdano a questo risultato.
“Oltre il danno – continua Amedeo Zaccaria – dobbiamo subire anche la beffa: mio figlio non c’è più da tre anni, e ogni giorno devo lottare con il fatto che un processo diventa una partita a poker, bluff inclusi, e da padre ho il diritto di dubitare che tutto questo sia stato programmato, che le istituzioni manovrino per evitare danni ai Riva e a tutti gli imprenditori che si comportano come loro. Io l’ho perso, non potrò più riaverlo, aveva 29 anni e da soli 4 giorni stava coronando il suo sogno di formarsi una famiglia. Sulla pelle di mio figlio quale partita si sta giocando?”. Una partita molto complessa. Perché, in caso di condanna, al termine del processo penale. Amedeo e le altre parti civili, potranno chiedere ai Riva il risarcimento del danno, ma solo come persone fisiche. E non è detto che il patrimonio personale dei singoli imprenditori sia sufficiente a risarcire i danni che, teoricamente, potrebbero arrivare fino a 30 miliardi.
 Basti pensare che quando la procura di Milano ha sequestrato 1,2 miliardi agli imprenditori dell’acciaio, in realtà ha trovato soltanto 600 milioni. A quel punto, le parti civili, dovrebbero avviare nuovi accertamenti patrimoniali, con ulteriori spese e perdite di tempo. Oppure rivalersi in sede fallimentare, come “creditore privilegiato”, perché il credito deriva dal risarcimento per il reato subìto.
“Sono equiparato a un creditore, a un fornitore di carbone, come se avessi fornito anche la materia prima: mio figlio”, dice il padre di Francesco Zaccaria che, paradosso del linguaggio giuridico, tra i creditori risulterebbe persino un “privilegiato”.

Il Fatto Quotidiano, 5 febbraio 2015

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