L’assoluzione in appello di Berlusconi scatenerà una ridda di polemiche. La sua innocenza, ancorché sentenziata dalla stessa magistratura, verrà sbandierata come la prova provata dell’intento persecutorio che ha motivato le toghe milanesi. Si urlerà indignati per il fango che ha ingiustamente lordato la specchiata figura dell’allora Presidente del Consiglio. Si invocheranno misure che impediscano ai pubblici ministeri di stravolgere con iniqui sospetti la vita democratica del paese. Non solo a difesa dell’onorabilità della persona, ma anche e soprattutto a difesa della volontà popolare democraticamente definita. L’idea di un’immunità che protegga la politica da indebite invasioni di campo tornerà a fare capolino. La sinistra garantista e la destra offesa e ferita (o in loro vece i carbonari del Nazareno) cercheranno utili convergenze legislative che limitino le irresponsabili scorribande giudiziarie. E la magistratura, che non è un ordine cavalleresco, ma un coacervo di ambizioni personali, capirà ben presto che la normalizzazione è in atto e che “chi tocca i fili muore”. Eppure la colpa non è della magistratura, ma proprio di quella politica che si atteggia a vittima esibendo il proprio oltraggio. Colpa della pavidità di un’inesistente opposizione che, ribadendo ad ogni passo di non voler battere Berlusconi con argomenti giudiziari, ha confinato nell’ambito penale quello che era un enorme problema politico e morale, scaricando impropriamente sulla magistratura il compito di giudicare l’indegnità di Berlusconi a un ruolo che la Costituzione, non il codice penale, vuole sia svolto con disciplina e onore. Colpa dell’ignavia di quell’opposizione che rintuzzava con fastidio lo sdegno che ribolliva tra i suoi sostenitori invocando la presunzione di non colpevolezza (trasformata per ignorante approssimazione in presunzione d’innocenza) e chiudendo gli occhi di fronte a inconfutabili e vergognose verità fattuali che, indipendentemente da ogni eventuale consistenza penale, avrebbero imposto le dimissioni del premier in ogni democrazia occidentale. Anche Strauss Kahn è stato assolto dall’infamante accusa di violenza sessuale ma, sebbene siano forti i sospetti di una congiura ordita a suo danno, l’evidenza di comportamenti tutt’altro che commendevoli lo ha definitivamente esiliato dalla politica francese. Nemmeno Bill Clinton commise reato “intrattenendosi” con Monica Lewinsky, ma dovette sottomettersi ad una umiliante inchiesta che aveva il solo scopo di stabilire se avesse mentito alle autorità e quindi al popolo. Noi, invece, celebriamo con impeti di sdegno e lacrime di commozione l’irrilevanza penale di comportamenti che hanno infamato e ridicolizzato l’immagine dell’Italia nel mondo. Esaltiamo l’innocenza di un bugiardo seriale che ha travisato spudoratamente i fatti (l’imputato può farlo di fronte al suo giudice, un Presidente del Consiglio non può di fronte al paese). Officiamo il martirio di un gaudente libertino inconsapevole dell’età delle sue ancelle. Il tribunale lo ha assolto, non fu reato. Ma sia chiaro che fu lui a ricevere sul suo cellulare la chiamata di una prostituta brasiliana che lo avvisava che Ruby era nei guai. Fu lui a telefonare alla questura di Milano camuffando il suo peloso interesse per la giovane marocchina con l’assurda frottola dell’incidente diplomatico con lo zio Mubarak. Fu lui a proporre, seppur senza costrizione o induzione, il fasullo affidamento alla consigliera regionale Nicole Minetti che dell’identità e del ruolo di Ruby era perfettamente a conoscenza. Ed è palese che tutto ciò avvenisse nella preoccupazione che da quel fermo di polizia potessero emergere fatti sconvenienti (e quanti ne sono emersi!). Basta e avanza a far suonare stonata quell’attestazione d’innocenza che certo lo salva dal carcere, ma non gli restituisce un briciolo della credibilità e dell’onorabilità perdute. Neppure, cancella la vigliaccheria del PD (già si sentono squittire garruli i garantisti), che continua a scaricare sulle spalle della magistratura l’onere di moralizzare la politica. Compito impossibile per chi non può, per la sua stessa natura, coordinare e uniformare la propria azione.
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