Prima di tutto mi piace ricordare che oggi è una festa, la festa della Repubblica e della Costituzione e allora vorrei che il momento festoso fosse comunque presente. Facciamo gli auguri a questa Repubblica e a questa Costituzione. La Costituzione ne ha molto bisogno, la Repubblica non ne parliamo.
Allora, cosa sta succedendo? Mi limiterò a poche parole, anche per non ripetere sempre i medesimi discorsi : è molto triste constatare che passano gli anni, passano i decenni e i problemi si ripresentano sempre nello stesso identico modo.
Sono cambiate le facce, cambiano le parole d’ordine, cambiano qualche volta (non sempre) i nomi, ma si ripropongono le stesse cose e soprattutto si ripropongono le stesse riforme.
Che cosa c’è in ballo oggi? Quello che c’è da sempre, da quando si è presentato davanti ai nostri occhi un percorso riformatore che ha avuto costantemente un’unica direzione: una direzione autoritaria. Qualcuno dice che è un’espressione esagerata. Certamente oggi non siamo in una situazione autoritaria, ma i tentativi vanno sempre in quella medesima direzione. I nostri governanti si riempiono la bocca con la parola democrazia ma cercano di eliminare la voce del popolo. E’ un fatto evidente, basta considerare le due proposte – definite intoccabili perché frutto dell’asse Berlusconi-Renzi – assunte in solitudine e in segreto da due capi partito ( uno condannato e espulso dal Senato) cui tutti devono obbedienza. Già le modalità sono sconcertanti. Ma i contenuti lo sono ancora di più.
Riforma del senato e riforma della legge elettorale, due riforme che è indispensabile vedere insieme, perché sorrette da un unico pensiero: eliminare del tutto la voce dei cittadini, o, almeno, soffocare le voci minoritarie. Da un lato, con un senato non elettivo si espelle il popolo da una delle Assemblee, dall’altro si costruisce una legge elettorale che elimina le minoranze.
Una soluzione grave, questo senato dei governi regionali e locali basato su una sorta di cooptazione verticistica anziché un senato dei popoli delle regioni, con pochi senatori eletti dai cittadini di ciascuna regione. E ancor più grave se affiancata da una legge elettorale che, dando uno sproporzionato premio a una maggioranza modesta , la trasforma in maggioranza assoluta, attribuendole una posizione assolutamente egemone. Anche il senso delle parole muta: premio di maggioranza significa premio alla maggioranza, a chi ha già raggiunto il 50% , in modo da rafforzarne la posizione. Qui, invece, il premio in seggi si guadagna con il 37%, il che vuol dire che il restante 63% resta fuori , privo di ogni incidenza , dominato da una maggioranza artificiale che in realtà è una minoranza. L’enormità di questo insulto alla democrazia risulta ancor più evidente quando si consideri che il 37% è calcolato sulla percentuale dei votanti e non degli elettori; e dunque, dati l’elevato numero di astenuti, i conti sulla democraticità della legge son presto fatti. Ma ancora non basta, va aggiunta la soglia di sbarramento stabilita per i partiti o gruppi non coalizzati che è dell’8%. Cosa vuol dire? Vuol dire tagliare in radice la presenza di voci dissenzienti, tappare di nuovo la bocca ai cittadini per evitare che opinioni minoritarie possano entrare in Parlamento! Le istituzioni devono parlare con una voce sola, quella dei partiti maggiori che in definitiva è un’unica voce visto che decidono insieme in accordo perfetto. Questa situazione politica è del resto ben riassunta in un’espressione che mi ha davvero spaventato: partito nazionale ha detto Renzi. Uno solo? Certo, si è creato un blocco sociale egemone che non intende lasciare spazio ai ‘diversi’; diversi come idee, ma, soprattutto – ed è questo che conta- come interessi. Sopprimendone la rappresentanza in Parlamento si preclude infatti agli interessi deboli e sacrificati l’ingresso nelle istituzioni in modo da non dover incidere sugli interessi protetti . Spero, comunque vadano le cose, che almeno dentro la nazione continuino a resistere più partiti, più opinioni, quel pluralismo, insomma, su cui la Costituzione era costruita.
Un’ultima considerazione. Sono due i rischi: per la democrazia di cui abbiamo parlato, e per il costituzionalismo su cui da anni i progetti di riforma mirano ad intervenire allo scopo di indebolirlo almeno, se non eliminarlo. L’obiettivo, ormai decennale, è mutare la nostra forma di stato, la democrazia costituzionale dove, a differenza della democrazia maggioritaria o totalitaria, la maggioranza non è ‘padrona ‘ dello Stato, ma soggetta a limiti e regole. Proprio per questo nasce il Costituzionalismo , per porre limiti e regole al potere: in origine era il potere di un Monarca, oggi è il potere della maggioranza uscita dalle elezioni che ha il diritto di governare ,ma non in modo assoluto. Ma chi è al potere non gradisce i limiti. E allora cerca di eliminare il costituzionalismo attraverso riforme che neutralizzano le istituzioni di garanzia , indeboliscono gli organi rappresentativi,tacitano le opposizioni, concentrando i poteri in un vertice inattaccabile. Avere le mani libere e non trovare ‘impacci’ nell’esercizio del potere, ecco perciò l’attacco alla democrazia costituzionale che è basata sul pluralismo delle istituzioni e sul pluralismo politico; non sul mono-partitismo.
Si interviene su due fronti, da un lato progettando riforme costituzionali e legislative rivolte a realizzare la concentrazione del potere, neutralizzando contropoteri e limiti; dall’altro lato riducendo il pluralismo politico e togliendo rappresentanza alle opinioni non conformate. Un obiettivo, l’ultimo, del resto già da tempo largamente realizzato attraverso leggi elettorali confezionate allo scopo di escludere dalle istituzioni le voci estranee al blocco egemone.
Cosa c’è, infatti, dietro la rappresentanza? Ci sono opinioni, programmi politici, gli interessi molteplici e diversi di cui è composta la società. Ci sono, in sostanza, le esigenze delle persone, di tutte le persone, che non si trovano in situazioni eguali ma assai differenti fra loro. Troppe, e in modo crescente, sono rimaste senza voce e senza tutela.
Le riforma elettorale attuale rafforza ulteriormente questo quadro, già iniziato con l’introduzione di sistemi maggioritari di nome o di fatto. Da tempo, per non disturbare gli interessi che fanno capo al blocco egemone, di fronte alla presenza di troppe domande sociali che non possono essere tutte soddisfatte senza intaccarli, cosa si fa? Non si consente che tutte abbiano accesso alle istituzioni e le strada più semplice per realizzare lo scopo è quella di chiudere i canali di trasmissione delle domande con una legge elettorale che lasci alcune voci fuori dalle sedi istituzionali e gli interessi corrispondenti senza tutela.
A interromper questo agevole cammino è però intervenuta la recente sentenza della Corte costituzionale ( n.1 del 2014) che ha dichiarato illegittimo il porcellum in nome della democrazia e della rappresentanza democratica. Una sentenza che rischia adesso di far franare questa ormai decennale conquista del blocco egemone: già ora molte voci non ci sono più in parlamento, molti interessi non sono più rappresentati .
E dunque, cosa si cerca di fare? Pervicacemente, si cerca di riprodurre la normativa illegittima, da poco annullata dalla Corte costituzionale.