Come clandestinamente e con lo stesso tasso di astensionismo degli elettori alle europee — quattro su dieci — deputati e senatori stanno procedendo all’elezione di due giudici costituzionali. L’ultimo scrutinio si è concluso alle dieci di sera nell’aula vuota di Montecitorio, invano perché il quorum è ancora molto alto. Per essere eletti servirebbe il voto dei due terzi dei parlamentari, cioè più di quanti nel complesso stanno rispondendo alla chiamata. Si fa melina, nell’attesa di un accordo che è poi quello destinato a sbloccare le riforme costituzionali e la legge elettorale. I giudici sono due, uno lo vuole scegliere Renzi, l’altro lo chiede Berlusconi.
Nella Costituzione la Consulta è il primo degli organi di garanzia della Repubblica; nella realtà degli ultimi vent’anni di rancoroso regime maggioritario lo è stata sempre di più. Norme palesemente incostituzionali, talvolta ad personam, approvate a testa bassa da maggioranze solipsistiche, hanno trovato l’ultimo baluardo nel giudice delle leggi. Una riforma elettorale che ha alterato il corso della storia politica del paese è stata alla fine arginata. Sentenze come le recenti su droghe e fecondazione hanno rimediato alla crudeltà del centrodestra e all’incapacità del centrosinistra. Decisioni coraggiose come l’accoglimento del referendum sull’acqua hanno consentito la difesa di diritti fondamentali. Certo, non sono mancati giudizi pessimi — uno è quello sul segreto di stato nel caso Abu Omar — e quasi tutti sono arrivati con pesante ritardo. Ma non per caso Berlusconi dipinge da tempo la Consulta come un covo di rossi (esclusi quelli che lo invitano a cena). Quanto a Renzi, si sa che ha preso come un affronto personale la rimozione del Porcellum: gli tornava utile per minacciare le elezioni anticipate.
La Corte Costituzionale non può essere un affare segreto da regolare tra due contraenti. Tanto più con le riforme costituzionali che si annunciano, con la legge elettorale ultramaggioritaria che si prepara in totale continuità con la precedente e — aggiungiamo — con il giudizio pendente sulla legge elettorale per le europee. I quorum costituzionali, peraltro previsti in regime di legge elettorale proporzionale, sono stati pensati per favorire la rappresentazione di tutte le culture politiche del paese, non per ridurre le nomine della Consulta a uno scambio a due. Il presidente della Repubblica non può restare spettatore di questa melina, tanto meno questo presidente che prima della fine dell’anno si troverà nella straordinaria condizione di nominare il suo quarto e il suo quinto giudice costituzionale. Avendo di fronte un mandato ancora lungo (fino a quando vorrà), cosa che è capitata solo al presidente Gronchi nell’anno di nascita della Corte. E non è necessario insistere sulla delicatezza dei rapporti tra Quirinale e Consulta: basta ricordare le vicende del processo di Palermo sulla trattativa.
Un’altra elezione dei giudici costituzionali è possibile. I partiti espongano alla luce del sole i loro candidati. I parlamentari grillini l’hanno già fatto. Per quanto con le solite modalità per iniziati, i 5 stelle hanno selezionato delle buone candidature e quella ottima della costituzionalista Silvia Niccolai. Renzi, homo novus, può accettare la sfida?
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