Il primo che incontro, davanti alla cancellata della INNSE Milano Spa di via Rubattino, è un ex-operaio, ormai in pensione da vent’anni. Libertà e Giustizia è stata invitata, insieme all’ANPI e alla CGIL, alla commemorazione che le maestranze della fabbrica hanno tributato a dodici loro compagni che il 12 maggio del ’44 vennero deportati a Mauthausen. E’ davanti a quella lapide che ci fermiamo, è lì che viene deposta la corona di fiori con la fascia dell’associazione partigiani. Mauthausen ne uccise i corpi – recita l’epigrafe – ma le loro anime vivono nell’Italia risorta alle umane vere libertà.
Il padiglione è enorme, la Innse che lavora meccanica pesante, è pronipote della gloriosa “Società generale per l’industria metallurgica e meccanica Innocenti”, nata nel 1931. Negli anni della resistenza era un avamposto di antifascisti, spesso in contatto con le brigate di Giustizia e Libertà.
Ho spiegato agli operai, muti, attenti, dignitosi nelle loro tute di lavoro, che forse è un segno che i loro compagni fossero uniti allora insieme alle brigate di Giustizia e Libertà contro l’oppressione nazifascista, e che oggi ci ritrovassimo insieme a ricordarli. 70 anni dopo nella stessa fabbrica, loro che avevano raccolto il testimone dai loro compagni, noi di Libertà e Giustizia che abbiamo raccolto il testimone dal Partito D’Azione.
Poche parole, precedute da quelle dell’esponente dell’ANPI e dall’amica della Cgil, che insistono su quanto siano preoccupanti le condizioni dei lavoratori e come tante conquiste sindacali di un tempo siano mortificate dalla crisi che chiude le fabbriche, che precarizza il lavoro, che umilia la dignità dei lavoratori.
Un delegato ricorda le analogie con il biennio ’19-’21 quando la crisi sociale spinse il popolo italiano a cercare nell’uomo forte la risoluzione dei suoi problemi.
Ed è qui che s’innesta il discorso sul manifesto di LeG “Verso la svolta autoritaria“, sulle preoccupazioni che molti cittadini hanno nei confronti di un percorso di riforme costituzionali e elettorali che innestate su un tessuto fragile, devastato dalla crisi economica e dalla mancanza di rappresentanza, possano portare il Paese verso un sistema non compiutamente democratico. Ho ricordato quanto detto da Gustavo Zagrebelsky: “una minoranza va a votare, una minoranza ancora più ridotta vince le elezioni e nei partiti c’è un capo che governa attraverso il controllo delle candidature: tutto questo fa sì che il potere si concentri in alto. Noi siamo sulla strada di un rovesciamento: non più le energie coinvolte dal basso, ma la concentrazione di un potere unico”.
Gli operai annuiscono, con pacatezza. Perché è così che vogliono essere chiamati, operai, al di là delle differenze partitiche, sindacali, dei luoghi di provenienza. Quasi che la classe operaia, data per morta, fosse ancora lì, unita per combattere le ingiustizie e per la rivendicazione dei propri diritti.
La breve cerimonia volge al termine, devono tornare al lavoro. Li saluto con una frase di Norberto Bobbio del 1958: “Il cammino della democrazia non è un cammino facile. Per questo bisogna essere continuamente vigilanti, non rassegnarsi al peggio, ma neppure abbandonarsi ad una tranquilla fiducia nelle sorti fatalmente progressive dell’umanità… La differenza tra la mia generazione e quella dei nostri padri è che loro erano democratici ottimisti. Noi siamo, dobbiamo essere, democratici sempre in allarme”.
Poi, con il groppo in gola, li ringrazio per avermi invitata e auguro loro un buon 25 Aprile.
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