L’Europa diserta Sochi ma Letta ci andrà polemica sui diritti gay

04 Febbraio 2014

Già è un errore differenziarsi dai principali alleati europei e occidentali, anche se la democrazia comunitaria non significa unanimismo. Ma almeno l’annuncio andava dato prima da Roma che da Mosca (anziché spiegarlo a posteriori dal Qatar). Da sempre in diplomazia la forma è anche sostanza.

lettaENRICO Letta può avere le sue ragioni per aver deciso all’ultimo momento di presenziare alla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi invernali di Sochi. Ma i torti prevalgono sulle ragioni. Uno su tutti, quello di infrangere un fronte occidentale del no, che va da Obama alla Merkel, passando per tutte le principali potenze della Ue e la stessa Commissione europea.
Tanto più in un momento in cui la posizione di Putin, indurita dal lungo braccio di ferro sull’Ucraina, è marcatamente anti-europea, come è dimostrato dal rapporto annuale del ministero degli Esteri di Mosca, pubblicato nei giorni scorsi, che dipinge la situazione dei diritti umani con un paradossale linguaggio propagandistico, degno della peggiore disinformazione sovietica, che suona come una chiara rappresaglia per le critiche europee alla legislazione omofoba della Russia.
Proviamo prima a vedere quali potrebbero essere le ragioni della scelta di Enrico Letta di esserci, venerdì prossimo, nella città sulle rive del Mar Nero, dove Stalin aveva una villa suntuosa e Putin ha deciso di creare la base tecnico-logistica dei giochi della neve più costosi della storia (curiosa decisione di avere la testa in mare e i piedi in montagna, ma fu così anche a Vancouver).
La prima è che il boicottaggio dei Giochi si è sempre dimostrato improduttivo, sia sul piano sportivo che sul piano politico: a Mosca, 1980, come a Los Angeles, 1984, e ancor prima a Montreal. Sportivamente mortifica gli atleti dei Paesi che si astengono, privandoli della possibilità di conquistare la medaglia più agognata da uno sportivo, vanificando anni di allenamento e perfino intere carriere. Politicamente si è rivelata in passato una cartuccia bagnata perché quando le gare cominciano i milioni di spettatori televisivi non prestano più attenzione a chi c’era e a chi non c’era nelle piste e nei palazzetti, sulla neve e sul ghiaccio. Ancora meno ricordano chi c’era e chi non nelle tribune dei vip nella giornata inaugurale. Quello che conta è lo spettacolo, l’emozione della gara, la fierezza nazionale per la vittoria. E gli assenti finiscono persi nell’oblio.
Tanto più questo rischio è reale in un’Olimpiade che per Vladimir Putin deve simboleggiare agli occhi del mondo la rinascita della Russia come grande potenza mondiale, degna erede di quella che fu
l’Urss prima del 1990 e che lui sempre rimpiange. Vancouver, per restare a una situazione geofisica assimilabile, costò circa 8 miliardi di dollari. Sochi arriverà a superare i 51 miliardi (il preventivo era 9, ma i costi si sono dilatati strada facendo, anche perché la corruzione è stata non meno spettacolare degli impianti che sono stati costruiti). Con molta ironia il blogger dissidente Aleksej Navalnyj ha detto che l’autostrada che collega Sochi con Krasnaja Polyana, dove si terranno le gare, sarebbe costata meno se fosse stata lastricata con il caviale Beluga invece che con l’asfalto. Ma a parte gli sprechi e le contestazioni degli ecologisti per le trasformazioni e devastazioni ambientali, tutti i reportage concordano che le infrastrutture della XXII Olimpiade invernale sono molto spettacolari e susciteranno “oh” di meraviglia in tutto il mondo televisivamente collegato.
E, dunque, Putin non permetterà, grazie anche a un accurato controllo della regia televisiva, che le poltrone simbolicamente vuote di alcuni Grandi Assenti gli rovinino la festa. Le cancellerà visivamente, le ignorerà politicamente e le renderà di fatto irrilevanti. Mentre esalterà i presenti, ne farà una bandiera della sua forza. Il rischio che corre Letta è anche quello che la sua presenza venga strumentalizzata ed esaltata oltre la sua portata e le sue motivazioni (tra cui quella di tener fede a un impegno preso a dicembre, prima che il boicottaggio fosse generalizzato). Putin ha anche un buon modello di maquillage delle immagini al quale ispirarsi: Mosca 1980 (un anno dopo l’invasione dell’Afghanistan), quando al Cremlino, al suo posto, c’era Leonid Breznev, sublime esempio di maschera di cera con i canini aguzzi. Per questo il presidente russo non teme l’effetto politico del boicottaggio della cerimonia inaugurale. Lo preoccupano molto di più le minacce di attentati terroristici: un fallimento dell’apparato di sicurezza, che impegnerà, si dice, cinquantamila uomini, questo sì che sarebbe un disastro per l’immagine di Putin e per l’agognata rinascita della superpotenza russa.
Detti quali possono essere i motivi che hanno spinto Letta a decidere per il sì, vediamo le ragioni che avrebbero suggerito piuttosto un no conforme a quello dei principali alleati. Una è certamente quello dell’ambiente omofobo, anti-libertario dal punto di vista politico e legislativo in cui le gare della XXII Olimpiade invernale si svolgeranno. Enrico Letta ha promesso, parlando ieri dal Qatar, di levare a Sochi la sua voce contro ogni forma di discriminazione sessuale e razziale. Ma dovrà farlo con molta forza e determinazione comunicativa. Perché è ragionevole temere che il suo possa essere un lamento flebile nel coro prepotente di osanna, che il maestro Putin dirigerà con la maestria appresa alla scuola di dizinformatsija del Kgb.
La seconda ragione, la più pesante diplomaticamente, è che la presenza di Letta rompe, come si è detto, un fronte occidentale assai compatto. Hanno detto no il presidente americano Obama, la cancelliera tedesca Merkel, il premier inglese Cameron, il presidente francese Hollande, la vicepresidente della Commissione Ue Viviane Reding.
È vero che ci saranno il presidente cinese, il premier giapponese, il segretario generale delle Nazioni Unite. Ma è la distonia della posizione italiana rispetto a quella della maggioranza dei grandi Paesi europei che colpisce. Né basta a giustificarla la ragione che la partecipazione giova alla candidatura italiana per le Olimpiadi del 2024. Di questa eccezione italiana, tanto più vistosa in quanto avviene a sei mesi dall’inizio del semestre di presidenza della Ue, si è ben reso conto Putin, che l’ha giocata a suo favore facendola sbandierare dal Cremlino prima che l’annunciasse Palazzo Chigi.
Già è un errore differenziarsi dai principali alleati europei e occidentali, anche se la democrazia comunitaria non significa unanimismo. Ma almeno l’annuncio andava dato prima da Roma che da Mosca (anziché spiegarlo a posteriori dal Qatar). Da sempre in diplomazia la forma è anche sostanza.

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