Adesso tutti costituzionalisti, gli italiani, non soltanto allenatori di calcio, della Nazionale, soprattutto. I raffinati politici di rango e anche quelli di bassa forza l’avevano detto anche loro che bisognava cambiare la legge elettorale, concordi, almeno nelle chiacchiere. Lo sapevano bene che il Porcellum era una norma ingiusta, che toglieva ogni possibilità di partecipazione politica ai cittadini elettori. Ma per anni, furbescamente, non hanno fatto nulla per porre rimedio. Avrebbe fatto comodo a molti, in fondo, quella legge in caso di elezioni anticipate.
Che cos’è il Porcellum? I parlamentari venivano eletti secondo i voleri dei partiti che pescavano nei loro cerchi magici. Non era sempre stato così?, obiettava qualcuno. Solo che con la legge del 2005 gli italiani non potevano avere più come un tempo «il loro deputato», «il loro senatore». Il premio di maggioranza abnorme rendeva la legge ancora più iniqua, differenziava la sua applicazione tra Camera e Senato, avallava una sorta di «minorità democratica» a una parte dell’elettorato rendendo ingovernabile il Paese. Era stato quello il cavillo gigante per bloccare Romano Prodi.
Adesso la Corte costituzionale ha fatto giustizia e c’è già chi lamenta la prevaricazione, l’eccesso di supplenza del sommo organo di garanzia della Repubblica, dimenticando la propria malafede, il proprio oblomovismo (dal protagonista del romanzo dello scrittore russo Ivan Gonchčarov, che sta sempre sdraiato su un divano).
La sentenza di incostituzionalità della Corte è il vero sigillo del ventennio berlusconiano che ha avuto l’illegalità come principio: dalla mancata approvazione di una seria legge sul conflitto d’interessi — anche la sinistra avrebbe potuto redigerla — alle leggi ad personam , a una politica di tutela dei propri interessi personali che hanno screditato l’Italia in Europa. La sentenza ha un valore giuridico assai più elevato del verdetto di decadenza da senatore dell’ex premier, anche se c’è stato qualcuno che ha lamentato, in quel caso, la mancanza di fair play nei suoi confronti. (Il rispetto della legge uguale per tutti ha bisogno di morbidezze?).
Il Porcellum, dunque. La legge fu chiamata così dal suo stratega, il leghista Roberto Calderoli: fu il costituente della baita di Lorenzago del Cadore a definirla «una porcata», non si sa se per un barlume di sincerità, per un riflusso dell’inconscio, o semplicemente per far lo spiritoso. Nacque nel 2005 rendendo illegittime tre consultazioni elettorali, nel 2006, nel 2008, nel 2013. Il Parlamento, il governo Monti e poi il governo Letta, che sono stati definiti governi a tempo, di scopo e anche, quello in carica, del presidente, avrebbero dovuto far sì che fosse approvata una nuova legge. Nonostante le sollecitazioni di Napolitano e le pressioni della parte consapevole dell’opinione pubblica non è successo nulla. Il governo Letta sembra avere ambizioni di ampio e di lungo respiro e forse la riforma della legge elettorale è stata giudicata un tema di minore importanza rispetto alle spesso incomprensibili riforme costituzionali di cui si è discusso. Progetti che non dovrebbero avere cittadinanza nel programma di un governo con pochi principi comuni: tra l’altro la trasformazione del Senato nella Camera delle autonomie, la riduzione dei parlamentari, la fine del bicameralismo paritario, la riforma della giustizia cara ai pregiudicati, il presidenzialismo.
La riforma della legge elettorale è stata così messa in un angolo. Soltanto negli ultimi giorni, spaventati dall’udienza della Corte, fissata da tempo per il 14 dicembre, i leader dei partiti di maggioranza si son dati un gran daffare e hanno tirato fuori dai cassetti le proposte che avrebbero potuto essere state realizzate da anni. Se le sono scambiate tra loro come i bambini le figurine.
Troppo tardi. E ora? Nella gran confusione è chiaro che il Parlamento così com’è non ha alcun diritto di mutare la Costituzione proprio perché i suoi rappresentanti, eletti con il Porcellum, non rispettano per nulla la volontà popolare. Dovranno essere i parlamentari usciti dalle prossime elezioni a correggere eventualmente gli articoli ritenuti invecchiati della Carta del ‘48.
Farebbero bene, Parlamento e governo, oltre che ad approvare in fretta la legge, a operare nel magma incandescente dei problemi che minacciano gravemente istituzioni e società nazionale: la crisi economico-finanziaria, il lavoro, i giovani, gli esodati, i disoccupati.
La politica non ha mai avuto un quoziente di gradimento così basso come in questo nostro tempo. Manca una voce alta, un Norberto Bobbio di oggi. La positività a ogni costo, che sembra diventata il linguaggio d’obbligo, non serve: «Sopire, troncare…», «Allontanare il fuoco dalla paglia»: non viene in mente che dire la verità, nei momenti gravi, potrebbe essere più utile e fruttuoso che nasconderla, minimizzarla?
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