Giovedì 5 dicembre si terrà a Cagliari un incontro sulla Costituzione con una relazione di Alessandro Pace. Pubblichiamo a margine dell’incontro una riflessione di Carlo Dore jr. coordinatore della sede cagliaritana.
Per proporre alcuni ulteriori spunti di riflessione al dibattito in corso sul tema della difesa della Costituzione, vorrei partite da un passaggio della relazione preliminare al ddl 813/2013: “occorre in primo luogo scongiurare quel conservatorismo costituzionale che, a volte anche animato da nobili intenzioni, rischia di bloccare ogni percorso di riforma. Sulla scorta dell’idea che la nostra sia la Costituzione più bella del Mondo, vi è chi arriva a rifiutare qualunque intervento riformatore della Carta Fondamentale”. Credo valga la pena di domandarsi in cosa consista questo “conservatorismo costituzionale”, e quali possano essere le “nobili intenzioni” che inducono i “conservatori” ad opporsi ad ogni riforma possibile.
C’è un’immagine, a mio sommesso avviso, che più di ogni altra descrive la condizione dei sostenitori del “conservatorismo costituzionale”: quella di Ulisse legato all’albero della sua nave mentre persegue la rotta verso Itaca, resistendo al canto delle sirene. Già, la Costituzione è come Itaca – attaccata da mille nemici ed insidiata da qualche falso amico, principalmente identificabile in quanti, rinnovando l’icona del sindaco d’Italia come modello di stabilità, di fatto declinano una concezione di Stato imperniata sul carisma dell’uomo solo al comando -, e proprio come il canto delle sirene suonano le mille argomentazioni che dovrebbero giustificare l’integrale revisione della seconda parte della carta.
Ma il canto delle sirene genera solo illusioni: ed è un’illusione l’assunto secondo cui è necessario modificare la Costituzione per riformare il sistema elettorale, per ridurre i costi della politica, per restituire efficienza alla pubblica amministrazione, per garantire più trasparenza nella gestione della cosa pubblica. Il canto delle sirene genera solo illusioni, che portano la nave ad infrangersi sugli scogli: gli scogli di una democrazia debole e poco garantita, rimessa alla mercé delle contingenti esigenze di un capo politico, identificabile ora nell’imprenditore dal sorriso di cartapesta, ora nel comico da strada dallo sberleffo sgangherato.
Ulisse resiste, l’albero non cede, la nave non perde la giusta rotta: c’è Itaca da raggiungere e da difendere, c’è una Costituzione da salvare, c’è un patrimonio di principi fatto di giustizia, di lavoro, di diritti, di uguaglianza a disposizione di quanti non rinunciano a credere che la prospettiva dell’Italia giusta coincida con quella dell’Italia migliore.
Tuttavia, così come Ulisse non intende finire i suoi giorni al sicuro di un porto, il sostenitore del conservatorismo costituzionale non concepisce la Carta come una sorta di intangibile monolite: semplicemente, non accetta di confondere la “buona manutenzione costituzionale” (che può identificarsi nella riduzione del numero dei parlamentari o nel superamento del bicameralismo paritario) con il radicale stravolgimento della forma di governo. No, lo sguardo del “conservatore costituzionale” non è semplicemente rivolto al passato: egli intende la Carta come un programma politico da aggiornare ma soprattutto da applicare, sia nella parte in cui impone ai titolari di funzioni pubbliche di adempiere il loro mandato con disciplina e onore, sia allorquando descrive i partiti come strutture organizzate secondo il metodo democratico, e in quanto tale incompatibile con l’autodafè agli anatemi sparati via web o tramite videomessaggio dal princeps di riferimento.
Ecco, sotto questo aspetto il sostenitore del conservatorismo costituzionale finisce davvero con l’identificarsi con Ulisse: perché trova nella Costituzione la sua Itaca, e la descrive non solo come una meta da raggiungere e come un porto da difendere, ma anche come il punto di partenza per un viaggio che ancora deve cominciare.