Sono intervenuto con piacere nello scorso fine settimana al convegno di Napoli dei Giovani industriali. Voglio prendere spunto proprio dalla sua intervista, che ha aperto quei lavori, con il presidente della Repubblica. Il tema era il coraggio delle scelte di governo.
Io non so quanto sia giusto abbinare la categoria del coraggio alle decisioni che deve prendere un esecutivo. Credo che, quando si ragiona di scelte politiche, ci si debba domandare innanzitutto “coraggio per chi”? Perché se la priorità di un politico è il proprio destino, o la durata purchessia del proprio governo, allora quel coraggio non mi interessa. Se invece si parla delle scelte coraggiose che servono per rimettere in piedi questo Paese, allora concordo sul fatto che di coraggio ne serve molto. Coraggio disinteressato, quindi, e in favore dei più.
Serve questo coraggio, oggi, per ridare un futuro all’Italia. Come ho detto a Napoli, infatti, io non vedo una ripresa che ci sta venendo incontro. Tutti i dati convergono nel dire che l’economia italiana è di fronte al rischio di un ridimensionamento storico della sua capacità produttiva. Per evitarlo, perciò, serve una vera rivoluzione. E servono, appunto, scelte coraggiose.
Non voglio però, sul suo giornale, dilungarmi in analisi generali sullo stato preoccupante in cui versa la nostra economia, né in ricette complessive di rilancio, che io ritengo debbano consistere in un radicale rinnovamento di uomini e strutture che in questi decenni hanno fallito. Ci sarà modo per ragionare anche di questo e mi fa piacere che nel dibattito pubblico idee analoghe stiano cominciando a circolare. Voglio qui riferirmi, più modestamente, a una precisa scelta, coraggiosa appunto, che vorrei portare nella discussione che in queste settimane si farà in Parlamento intorno alla legge di stabilità. Quella scelta, fuori dai denti, e senza inutili cosmesi lessicali, si chiama “patrimoniale”.
Concordo con chi ha giudicato il disegno di legge del governo come troppo timido e di fatto inefficace per la modestia delle cifre che mobilita. Servono perciò scelte coraggiose per trovare coperture solide e consistenti. E, in attesa di una spending review che deve fondarsi su una riforma complessiva e difficile della pubblica amministrazione, queste coperture non possono che essere reperite attraverso un altrettanto consistente prelievo patrimoniale.
In questo senso mi permetta di fare riferimento a un articolo che pubblicai proprio sul Sole 24 Ore qualche anno fa. Era il settembre del 2009. Scrivevo: “È inutile illuderci. La ripresa mondiale arriverà, ma sarà lenta e incerta. E il nostro Paese, senza azioni forti di politica economica, l’aggancerà tardi e male. (…) L’Italia rischia di uscire con le ossa rotte. Laddove le ossa sono il nostro sistema produttivo. Un sistema che nella seconda metà del ‘900 ha insegnato a tanti l’arte dell’innovazione, della creatività e dell’adattabilità al mercato. E che ora rischia di essere messo nelle condizioni di non poterlo più fare, condannando il Paese, se non al declino, a uno stabile ridimensionamento del suo ruolo nell’economia mondiale”.
E’ esattamente dove siamo oggi. Soltanto che dopo quattro anni senza “scelte coraggiose”, ci siamo ulteriormente impoveriti e siamo anche più rassegnati e incattiviti gli uni contro gli altri. “Siamo davanti a una situazione straordinaria – ragionavo allora – servono pertanto iniziative straordinarie”.
Ecco la proposta che facevo: “Serve un abbattimento massiccio e generalizzato delle imposte sul lavoro, sulle persone fisiche e sulle società. Un intervento radicale, nell’ordine di molti punti percentuali su tutte le aliquote. La pressione fiscale pesa in particolare sul cosiddetto “cuneo”, cioè le imposte che trasformano buste paga pesanti per le imprese in buste paga leggere per i lavoratori. È soprattutto qui che bisogna agire”.
Come si pagava – mi chiedevo e mi chiedo oggi – questa radicale cura fiscale? Certamente si può prevedere un effetto di rimbalzo sulle entrate, in considerazione del rilancio dei consumi e in generale dell’economia. Inoltre è prevedibile un effetto in termini di recupero nell’immensa area d’evasione fiscale, dal momento che diventerebbe meno attraente l’evasione. Ma soprattutto la si paga “introducendo – scrivevo ieri e rilancio oggi – una forte tassazione permanente sui patrimoni. Non si tratta, evidentemente, di tassare la prima casa a chi ha un modesto appartamento in periferia. Così come andrebbero evidentemente esclusi i beni strumentali delle imprese. Si tratta piuttosto di spostare il peso del fisco dalla produzione e dal lavoro alla rendita improduttiva. In Italia, secondo i dati di Banca d’Italia, il 10% delle famiglie detiene oltre la metà della ricchezza patrimoniale, cioè oltre 4mila miliardi. È su questa base imponibile che si dovrebbe incidere. Un’operazione profondamente liberale, che potrebbe trasformare la struttura fiscale ed economica del nostro paese, modernizzandola e mettendola al passo delle maggiori economie liberali del mondo”.
Allora, me ne accorgo ora, non usai la parola patrimoniale. Era un’accortezza determinata da un dibattito e da una situazione politica che suggeriva qualche prudenza terminologica. Oggi credo che si possa e si debba parlare esplicitamente di patrimoniale. Siamo con le spalle al muro e solo se sapremo finalmente premiare la ricchezza che produce lavoro, andando a beneficio dei più, e non quella statica, che va a beneficio di pochi, possiamo pensare di attuare un rilancio dell’economia.
Sarebbe, del resto, una riforma in senso liberale, non certo vetero-comunista. Perché favorire fiscalmente chi produce e lavora, penalizzando chi accumula, come ci ha insegnato Luigi Einaudi, è l’essenza stessa del liberalismo democratico.
Leggi l’articolo sul Sole 24 Ore
Concordo pienamente su una patrimoniale che colpisca le grandi rendite immobiliari e finanziarie. Purtroppo “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”.Nonostante che una simile idea circoli da anni,ricordo a tal proposito la proposta del Banchiere Modiano,nulla si è fatto,perché anche ai governi di centrosinistra è mancato e tuttora manca il coraggio;quel coraggio che “uno non se lo può dare”,come direbbe il Manzoni. In questi ultimi anni però abbiamo raggiunto il massimo: sarebbe bastata un po’ di attenzione al bilancio dello Stato,per accorgerci che lo Stato ha sì grandi spese,ma anche immensi crediti da incassare. Ma che hanno fatto i Governi? Sotto il mantra del debito,hanno continuato a spremere la maggior parte del paese,(tanto per intendersi lavoratori dipendenti e pensionati) con altre tasse e tagli ai servizi,ma contemporaneamente hanno trascurato di riscuotere un’immensità di risorse da una parte minoritaria della popolazione. La conferma è contenuta in un rapporto dello stesso Ministero dell’Economia trasmesso alla Commissione Finanze della Camera dei Deputati ad inizio Luglio;rapporto da quale risulta che,a fronte di ben 807 MILIARDI di euro di imposte MESSE a RUOLO dal 2000 al 2012,lo Stato ha incassato soltanto 69 MLD,pari all’8,5%. Ancorché escludessimo circa 200 MLD di crediti non esigibili per ragionevoli impedimenti o aggiornamenti dell’Agenzia delle Entrate,resterebbero più di 500 MLD tuttora non riscossi.
Errare humanum est,perseverare autem diabolicum. Anche il governo Letta,privo di fantasia com’è,ha preferito non differenziarsi dai precedenti esecutivi,ignorando persino quello che il suo stesso Ministero dell’Economia e Finanza gli aveva evidenziato. C’è forse qualche traccia del problema nella Legge di Stabilità? Qui non si tratta di mettere a bilancio alcune entrate prima di averle acquisite;qui non si vede alcuna iniziativa,nè di emergenza,come un ragionevole piano di recupero dell’arretrato,nè di prospettiva,come una riforma STRUTTURALE del sistema che eviti per il futuro il perverso stazionamento di enormi risorse inutilizzate.
Le coperture finanziarie cui accennava il PdR Napolitano durante il suo ultimo intervento,ci devono sicuramente essere,ma non cadono dal cielo,occorre cercarle,trovarle,e sbloccarle.
Oggi siamo al ridicolo: continueremo a cercare le risorse con nuove tasse ed ulteriori tagli alla spesa pubblica,non accorgendoci che in tasca abbiamo un immane tesoro?
I tempi sembrano effettivamente maturi per introdurre una patrimoniale se addirittura gli industriali, naturalmente quelli illuminati, chiedono a gran voce di introdurla. Ma il Governo è sostenuto da un partito, tale PDL, il cui proprietario, tale Silvio Berlusconi, è stato condannato in via definitiva per frode fiscale con i cui proventi ha accumulato fondi neri con cui, fra l’altro, comprare voti per far cadere il Governo Prodi e che naturalmente di patrimoniale non vuole nemmeno sentirne parlare. E allora chiedo al Presidente Napolitano, che è garante delle istituzione e che la voce dei cittadini dice di ascoltare: come ne usciamo?
Venerdì scorso l’ing. De Benedetti a Napoli ai Giovani di Confindustria diceva della “… necessità di una RIVOLUZIONE CULTURALE E GENERAZIONALE per fermare il declino morale, non solo economico, del Paese…”.
“Rivoluzione” vuol dire “cambiamento ampio, profondo e rapido”, praticamente una cesura, verso una situazione negativa al presente e in prospettiva.
Per cui intendo la “Rivoluzione” dell’ing. come una SOSTITUZIONE “Ora e Subito” delle “culture e generazioni” che dal Parlamento decidono da anni i destini infausti del Paese.
SI PUO’ FARE !!!
Nel rispetto della Costituzione e del suo Spirito, col Popolo che una volta nella storia si fa Sovrano e, brandendo gli articoli 1-71-50 e se necessari 40, che consentono la Democrazia Diretta, attua un’azione popolare non per un impossibile governo, ma per una tornata capace:
di ottenere leggi e riforme attese da decenni, sempre promesse e sempre tradite,
e, come effetti collaterali ma fondamentali
di riaffermare la Sovranità Popolare calpesta e derisa,
di recuperare la perduta dignità di Cittadini,
di abbattere l’arroganza della casta e di ogni altra lobby,
di defenestrare definitivamente dal Parlamento quaraquaquà e compagni di merende
e soprattutto di blindare la Costituzione da ogni attacco lesivo del suo spirito originario, ma non degli opportuni aggiornamenti, rilanciandone autorità e autorevolezza.
Sorprende e sconcerta che cultori della “Carta Costituzionale” non colgano o non vogliano percorrere questa via, L’UNICA VIA MAESTRA, L’UNICA VIA ASSOLUTA.
Grave peccato di omissione commesso improvvidamente da chi ogni giorno spende parole partecipate ed emozionate (!?) a difesa della Carta e a evidenziare il proprio impegno per questo fine.
Grave omissione capace di disperdere, con lo stravolgimento in itinere, anche questo strumento, splendido dono di quei Padri Costituenti, sempre evocati, ma in effetti traditi!
Paolo Barbieri, cittadino semplice, massimamente indignato e deluso!