La domanda è: ma su cosa si dividono e si affannano quelli del Pd?
Perché accettano di passare per tessitori di intrighi, traditori degli accordi, inaffidabili, addirittura per gente che se ne frega del Paese?
Di che pasta è fatta la torta che vogliono spartirsi?
Si dice che il partito sia l’unico, vero partito rimasto sulla scena italiana: tutti gli altri non sono partiti e non ambiscono nemmeno ad esserlo. L’unico, anche se contemporaneamente i dirigenti locali affermano che il partito non c’è più, che gli iscritti calano drammaticamente.
Il Partito democratico non sa che cosa è, e cosa vuole essere.
Insomma, c’è una palese contraddizione tra la durezza della lotta interna e la pochezza della posta in gioco. Ma le condizioni da tutti riconosciute così critiche sarebbero forse sanabili con un divorzio, con una rottura? Anche per divorziare occorre una dose di energia. Dunque, sciogliersi?
Questo logoramento, questa malattia, purtroppo, li abbiamo visti nascere e crescere negli anni fino alla grande degenerazione, quando cioè è stato dimostrato concretamente con parole e con i fatti che possedere le banche e distribuire posti e incarichi erano la vera ambizione del partito. Forse la sola.
Rapidamente sono stati mandati in soffitta alcuni valori di fondo, come la difesa della giustizia sempre più insidiata dagli attacchi delle leggi berlusconiane. La vicinanza con la destra del Cavaliere, i tanti anni trascorsi insieme, gli stessi uomini e donne in Parlamento, legislatura dopo legislatura, fino a formare una casta vera e inamovibile, ha portato in un primo tempo a una accettazione dei progetti di altri, poi a deporre le armi che avrebbero dovuto ostacolarli. Infine si è affermata una sorta di allegra condivisione di programmi e slogan altrui. Si è creata una cultura delle grandi intese, prima ancora di una politica.
Insieme nei dibattiti, insieme alle feste di partito, ma non per discutere e incalzare, bensì per dimostrare al mondo che le differenze erano sempre meno e meno importanti e che si può dunque persino governare insieme, anche se agli elettori si è detto che questo, no, non si farà mai.
Fino a decidere insieme di abbandonare i vecchi progetti di aggiornamento della Costituzione e di scriverne un’altra, nuova di zecca (69 articoli), dopo essersi impadroniti dell’articolo 138.
Chi è stato l’inventore di questo stratagemma?
E chi sono i 101 traditori, che, non votando Prodi, hanno fatto dire: il sistema è “imploso”, anche se le votazioni per il nuovo inquilino del Colle erano appena cominciate?
E chi è che ha organizzato, sabato scorso, la mancanza del numero legale?
Senza risposte, non nascerà nulla di buono. E il congresso non riuscirà a far dimenticare i silenzi e le oscure intese di oggi. Resterà la polvere, ammucchiata sotto il tappeto.
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