Sabato pomeriggio eravamo tutti estremamente soddisfatti (personalmente, posso dire entusiasta) per l’elezione ai vertici del Parlamento di due persone di alta qualità. Domenica mattina, uno scritto di Galli della Loggia ci ha dato non solo una conferma, ma nuovi argomenti.
L’editorialista del Corriere della Sera interpreta l’elezione di Boldrini e Grasso come “vittoria della non politica”, in quanto nelle loro biografie “non ha il minimo posto la politica come scontro di idee, esperienza di conflitti sociali, elaborazione di strategie di lotta”. Dà perciò una interpretazione quasi epocale alla scelta compiuta dal Pd: puntando su candidati esterni alla nomenklatura di partito questa “sinistra che viene da lontano” avrebbe tratto le conseguenze dal fatto di “non poter più trovare al proprio interno, nella propria storia, né volti, né voci, né biografie capaci di rappresentarla veramente”.
Possiamo davvero sperare tanto? Possiamo davvero sperare che sia definitivamente superato il distacco, sul quale Carlo Rosselli scrisse pagine memorabili, tra la sinistra dogmatica degli apparati autoreferenziali e quella, socialista e liberale, radicata nella società? Si tratta, in sostanza, di chiedersi se ciò che è avvenuto sia una abile, e riuscita, manovra tattica, o la mossa iniziale di una scelta strategica di lungo periodo.
Nella seconda ipotesi, ci troveremmo di fronte non certo alla non politica, bensì alla valorizzazione di una diversa politica: nelle biografie degli eletti c’è, clamorosa, la prova che oggi la politica come scontro di idee, esperienza di conflitti sociali, elaborazione di strategie di lotta si può fare al di fuori dei partiti come essi si sono andati configurando (ed è sconcertante che Galli della Loggia identifichi “politica” con gli attuali partiti). Il PD sembra aver colto il segnale: se la vera politica è in larga parte fuori, i partiti devono ricollegarsi con la società civile trasformando radicalmente le proprie modalità di organizzazione e di azione, e anche i criteri con i quali si scelgono i vertici istituzionali. La prossima occasione è la scelta del Presidente della Repubblica.
Altrettanto attuale è il tema del finanziamento ai partiti stessi, collegato al loro rinnovamento. Il 23 aprile scorso, su questo sito, indirizzammo a Pier Luigi Bersani una lettera aperta ricordandogli che “nel 1974 un uomo della tradizione azionista, Tristano Codignola, propose -anziché miliardi di lire- disponibilità di spazi per riunioni nei Comuni e nei quartieri, di strumenti di stampa, di emittenti TV e radio, di franchigie postali”, che “con gli attuali mezzi di comunicazione la partecipazione può essere anche a distanza, sicché siti interattivi e sale attrezzate in teleconferenza possono affiancare le antiche assemblee (nelle quali comunque, va sempre ricordato, a suo tempo si è formata e diffusa la cultura democratica degli Italiani)”, e che “attraverso una legge fatta non per i partiti che pensano a se stessi, bensì per i cittadini che pensano al bene comune associandosi a tal fine in partiti, il PD ha la possibilità di mostrare con i fatti che non tutte le attuali forze politiche sono uguali”.
La storia non si fa con i “se”, ma sembra indubitabile che una scelta come questa, fatta allora, avrebbe consentito a Bersani di togliere argomenti al populismo e voti a chi lo pratica, ed anche spazio al suo oppositore interno. Non è comunque mai troppo tardi per imboccare la strada del rinnovamento.
Il passo compiuto sabato scorso non solo va nella direzione giusta, ma – come abbiamo cercato di dire – si presta ad essere non occasionale: si proceda, perciò, con coerenza. Le valutazioni immediate sulla vita della legislatura possono certo essere fatte (e non è affatto detto che la scelta ora compiuta, e quelle che sollecitiamo, avvicinino le elezioni). A nostro parere, è comunque ancora più importante la prospettiva di fondo.
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